Giustizia, Pace, Integrità del Creato
Giustizia, Pace, Integrità del Creato
Giustizia, Pace, Integrità<br /> del Creato
Giustizia, Pace, Integrità del Creato
Giustizia, Pace, Integrità del Creato

Massacri nella comunità maya oppositrice alla Miniera El Tambor

Guatemala 26.09.2013 Coordinación por los Derechos de los Pueblos Indígenas

Nella notte del 7 settembre 2013, della gente armata è entrata nella comunità maya kakchikel di San José Nacahuil, assassinando a 11 persone e ferendo gravemente altre 15, tra cui due bambine.

Questa comunità, davanti alle minacce delle imprese estrattive, ha assunto una decisa difesa del proprio territorio entrando come parte attiva nel movimento di resistenza pacifica La Puya contro la Miniera El Tambor. La comunità sostiene che i fatti menzionati si sono prodotti dopo una campagna di minacce contro gli abitanti della zona, cui ha partecipato anche la Polizia Nazionale Civile (PNC), un aggravante questo perché la comunità ha le sue autorità, è responsabile della propria sicurezza interna fin dal 2005, e da allora non c’è stata mai presenza della polizia.

La resistenza La Puya

Gli abitanti di San José del Golfo e San Pedro Ayampuc fin dal 2010 si sono organizzati in un movimento sociale di resistenza per far fronte alle ingiustizie che venivano via via identificando sulla base dei diritti riconosciuti in Guatemala. Nel 2011 incominciò la costruzione della Miniera El Tambor, progetto estrattivo della società nordamericana Kappes Kassiday & Asocciates KCA e delle locali Esplorazioni Minerarie del Guatemala S.A. (EXMINGUA). Il progetto è stato presto paralizzato dalla resistenza pacifica degli abitanti di entrambi i municipi.

Dal marzo 2012, il picchetto pacifico La Puya -nome con cui si conosce l’accampamento installato all’ingresso della miniera- è il principale strumento di resistenza che il movimento si è dato davanti alle minacce del settore minerario. L’iniziativa ebbe il suo inizio quando uno degli abitanti ostacolò il passo a un camion della miniera e aggregò immediatamente la gente del posto. Da allora, la popolazione delle vicinanze mantiene una presenza continua a La Puya. Questa presenza, in poco tempo, si è convertita in Guatemala nell’esempio tipico della resistenza pacifica di fronte al settore minerario, riuscendo fino a oggi a mettere in questione nella zona le ambizioni minerarie ed evitare che si realizzino i progetti di sfruttamento che non hanno l’accordo della popolazione indigena. E’ così che gran parte dei paesi vicini potenzialmente colpiti dal settore minerario, è entrata a far parte della resistenza. La comunità di San José Nacahuil è stata fin dagli inizi promotrice del movimento e ha partecipato a distinte azioni di resistenza pacifica; recentemente, ad esempio, ha ostacolato l’entrata ai veicoli dell'impresa adibita al controllo del sistema elettrico.

Azioni d’intimidazione e notifiche previe

Il movimento di resistenza pacifica La Puya, aveva avvertito in un comunicato che dal 31 di agosto, gli attivisti contrari alla miniera subivano minacce da parte della PNC, e che si notava la presenza di pattuglie non appartenenti alla giurisdizione dei due municipi. Davanti a questi fatti, i rappresentanti del movimento fecero ricorso alla Procura dei Diritti umani (PDH), e presentarono rimostranze al Segretario del Direttore della PNC, chiedendo spiegazioni, senza ottenere nessuna valida giustificare di questa presenza irregolare.

Gli attivisti, partendo dalla loro esperienza di resistenza pacifica, fanno notare che “azioni come queste servono da preambolo all’esecuzione di vere azioni repressive contro la resistenza: tentativi di sgombri o intimidazioni contro donne e uomini membri de La Puya”. Nel comunicato denunciano che “risulta chiaro, da queste azioni, che le autorità incaricate della sicurezza pubblica non hanno coscienza sociale e che invece di ottimizzare le risorse messe a loro disposizione per prevenire fatti criminali, le stanno utilizzando per intimorire le comunità che sono in pieno possesso dei loro diritti”.

Il massacro del 7 settembre 2013

Il comunicato emesso dalla comunità -e da altre organizzazioni sociali- racconta che il 7 settembre alle 22 e 45 una pattuglia della polizia penetrò nella comunità, “ispezionò i negozi di prodotti alimentari e bevande alcoliche, domandando il nome dei proprietari ed esigendo di vederli, mise contro la parete e registrò tutte le persone che si trovavano nei negozi”, in un atteggiamento che non è usuale in Nacahuil, perché –vale la pena ricordarlo- la sicurezza interna sta in mani delle autorità comunitarie, una volta che nel 2005fu decisa l’espulsione della PNC. Poco tempo dopo, irruppe nel paese un gruppo armato a bordo di un'automobile non identificata sparando indiscriminatamente per le principali strade della comunità, “concentrandosi poi sui negozi che stavano ancora aperti a quell'ora”. Il saldo che lasciarono fu di almeno di 11 persone uccise e 15 gravemente ferite, tra esse, due bambine.

Anche se alcuni mezzi di comunicazione nelle prime ore attribuirono il massacro a uno scontro fra bande rivali, questa versione fu drasticamente negata dalle autorità comunitarie di Nacahuil che denunciano la manipolazione dell’informazione, respingono le dichiarazioni del Ministero di Governo ed esigono che questi fatti non si trasformino in un pretesto per militarizzare il territorio. Ricordano anche che gli indici di criminalità nella comunità sono diminuiti da quando nel 2005 la PNC se n’è andata.

Questi fatti accadono a poche settimane dall’anniversario del massacro di Totonicapán –il 4 di ottobre 2012 -, quando membri dell’Esercito assassinarono 8 attivisti indigeni e avvengono nel contesto di un processo di criminalizzazione dei movimenti sociali e di militarizzazione dei territori indigeni che ha già dato luogo a due dichiarazioni di stato di emergenza per difendere gli interessi delle transnazionali.

Lascia un commento