Giustizia, Pace, Integrità del Creato
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Architettura ostile

Rivista Africa 19.11.2022 Federico Monica Tradotto da: Jpic-jp.org

La violenza, l’atteggiamento ostile ad ogni scelta che parli d’“accoglienza” si rivela i tanti dettagli: nei dettagli sta il diavolo dice un proverbio nordamericano. Mi raccontò un amico: era l’una di notte quando arrivammo a Duala (Camerun); tutto era ormai chiuso e non potevamo nemmeno lasciare l’aeroporto; nella sala d’attesa i sedili erano tutti a curve ed era impossibile sdraiarsi; dovemmo accontentarci del pavimento.

Anche nelle città africane sono sempre più diffusi gli esempi d’architettura ostile: elementi d’arredo urbano studiati appositamente per impedire di sedersi, sdraiarsi o commerciare in determinate zone della città. Le vittime, in Africa come in Italia [e in altre parti del mondo], sono quasi sempre persone già in difficoltà, nel tentativo di nascondere la povertà anziché d’affrontarla a livello strutturale.

Un tappeto sterminato di grandi pietre appuntite, sistemate in piedi l’una di fianco all’altra, occupa interamente gli spazi al bordo della strada sotto un cavalcavia non lontano dall’aeroporto di Accra. L’effetto è curioso, a metà fra un museo archeologico a cielo aperto e un’installazione d’arte contemporanea.

“Li hanno messi lì, così nessuno può più sedersi o sdraiarsi a dormire”, mi spiega Moses, loquace tassista che adora l’Italia ed il suo calcio. “Hanno fatto bene: è brutto che gli stranieri o i turisti vedano queste cose”, aggiunge convinto.

Si tratta d’un classico esempio della cosiddetta “architettura ostile”: elementi architettonici o d’arredo urbano pensati per impedire l’accessibilità o alcune attività in luoghi specifici. Le città europee ed anche quelle italiane ne sono piene. L’esempio più diffuso è sicuramente quello delle panchine intervallate da braccioli fissi, la cui funzione non è certo di migliorare l’ergonomia quanto d’impedire, principalmente ai senzatetto, di sdraiarsi. Ci sono poi ringhiere, spuntoni o borchie in metallo installati sempre più spesso davanti alle vetrine di negozi e banche, sotto i portici o nelle pensiline degli autobus.

L’obiettivo dichiarato è mantenere il cosiddetto “decoro urbano”, concetto ambiguo che sembra guardare più all’apparenza che alla sostanza, puntando a nascondere o rimuovere situazioni di degrado anziché affrontarne le cause profonde per risolverle.

Da qualche tempo, anche in molte città africane come Accra gli esempi d’architettura ostile si diffondono a macchia d’olio. Non che sia una novità assoluta: le transenne intorno ai monumenti o alle rigogliose aiuole spartitraffico nelle zone più centrali sono presenti da decenni in metropoli come Nairobi, Lagos o Kinshasa, tuttavia il progressivo aumento delle diseguaglianze sociali porta con sé anche queste soluzioni, nel tentativo di mantenere “decorose” porzioni sempre più ampie di città.

Le zone intorno agli aeroporti e le strade più battute da turisti e visitatori stranieri, così come i marciapiedi dei quartieri più esclusivi e le aree che circondano i centri commerciali, sono i punti delle città in cui barriere, dissuasori o anche semplicemente guardiani in divisa impediscono a chiunque di fermarsi, sedersi, giocare o commerciare. I marciapiedi devono restare vuoti e puliti, ricreando un’idea edulcorata ed asettica di città che stride con ciò che spesso accade a pochi metri di distanza.

Nei nostri centri storici le pietre appuntite lasciano il posto a elementi impercettibili, quasi di design: oggetti che ad un occhio inesperto possono sembrare innocue decorazioni, ma che spesso sono appositamente studiati e collocati per ostacolare alcune azioni, spesso colpendo, paradossalmente, proprio chi già è in seria difficoltà, come gli homeless in cerca d’un riparo asciutto e sicuro.

Una vecchia storia che tende a ripetersi, in Italia come nelle grandi città africane. La povertà, anziché essere affrontata, viene nascosta, obbligata a spostarsi da un’altra parte, possibilmente lontano dai nostri occhi e da quartieri tanto “decorosi” quanto respingenti.

Qualche sera dopo, Accra è avvolta da una pioggia leggera ma persistente. Ripassando sotto lo stesso cavalcavia noto strani movimenti: un gruppetto di persone ha appoggiato delle assi di legno recuperate chissà dove sulle pietre aguzze: qualcuno è seduto a chiacchierare, qualcun altro cerca di dormire in quell’angolo asciutto e rialzato dal terreno. Il grigio delle pietre illuminate dai lampioni al neon si accende di lampi dal colore dei vestiti stesi ad asciugare, tutto sembra improvvisamente più vivo, forse più bello, sicuramente più umano. Anche Moses ride divertito scuotendo la testa: “Eeh, these people!”.

L’arte d’arrangiarsi vince su tutto, anche sull’architettura ostile, e la capacità di trasformare e sfruttare al massimo luoghi e situazioni è uno degli elementi che rende ancora oggi le città africane così vitali, dinamiche ed interessanti. Con buona pace del decoro e degli sguardi dei turisti.

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