Giustizia, Pace, Integrità del Creato
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Ambiente e agricoltura

Ethic 08.04.2024 Pedro Silverio Tradotto da: Jpic-jp.org

È stato l'unico dimissionario del governo di José María Aznar durante i suoi otto anni; si è dimesso 22 giorni prima delle elezioni del marzo 2000, quando era in carica da soli 13 mesi. Agronomo e avvocato di formazione, Manuel Pimentel (Siviglia, 1961) ha raccolto i suoi articoli degli ultimi 15 anni sulla crisi agricola in "La venganza del campo" (Almuzara, 2023). Sostenitore degli accordi e amante della vita rurale, Pimentel punta i riflettori su una società che lamenta l'oblio a cui ha condannato questo settore primario per aver deciso che il rurale è bello solo nelle "storie" su Instagram. Intervista.

La campagna è stata la prima grande vittima della globalizzazione?

La campagna occidentale non è stata la sola vittima della globalizzazione, perché la globalizzazione sta interessando molti altri settori, inoltre il mondo agricolo sta vivendo un momento positivo. Il mondo agricolo è stato vittima del brutale calo dei prezzi dovuto alla globalizzazione ed alla concentrazione della distribuzione. I prezzi sono scesi così tanto da diventare inconsistenti per la società. Di conseguenza, è iniziato il processo che abbiamo visto negli ultimi decenni.

Quindi lei indica la distribuzione come uno degli agenti responsabili.

Negli anni '80, '90 e 2000, la distribuzione si è molto concentrata ed ha acquisito un grande potere sull’acquisto, spingendo molto sui prezzi. Questa concorrenza tra distributori si è trasmessa verso il basso. La distribuzione è responsabile di aver compresso i prezzi fino alla rovina degli agricoltori, ma non è responsabile dell'aumento dei prezzi che stiamo vivendo ora. Quando si dice che i prezzi stanno salendo troppo perché la distribuzione li sta provocando, non è vero. La distribuzione è la stessa di 10 anni fa. Ciò che sta accadendo è che le importazioni stanno diventando più costose e noi ne stiamo diventando sempre più dipendenti perché abbiamo limitato la nostra capacità produttiva e c'è meno offerta, ed è per questo che i prezzi stanno salendo.

Nell'agosto 2009 lei scriveva: "Prima o poi la campagna prenderà la sua rivincita sotto forma di carenza di cibo, che aumenterà bruscamente ed inaspettatamente di prezzo". Perché, se per lei era così evidente 15 anni fa, nessuno ha fatto nulla per evitarlo?

Perché l'immaginario è molto forte. Ed ora è molto difficile cambiarlo. La società urbana dà così poco valore all'agricoltura ed all'ambiente che nel profondo dell'anima sua vorrebbe che la campagna servisse solo per le passeggiate. E l'intero standard europeo è orientato in questo senso. Alla fine, noi europei abbiamo deciso: "usiamo la campagna per le passeggiate e lasciamo che altri si occupino dell'alimentazione e non chiederemo nemmeno come lo fanno". Questo lascia perplessi, perché limitiamo noi stessi con condizioni che vanno anche bene, ma non mettiamo le stesse esigenze sulle importazioni.

E come siamo arrivati a questo punto?

Quando andiamo in campagna, da società urbana quale siamo e non viviamo in quel contesto naturale, siamo disturbati dai sistemi di irrigazione, dalle fattorie, dalle serre... Vogliamo la campagna, ma per qualcos'altro. Per questo ho iniziato a pensare all'idea della rivincita della campagna. Solo quando il carrello della spesa comincerà a restringersi, ed i prezzi continueranno ad aumentare a poco a poco, allora ci renderemo conto che dobbiamo avere una produzione agricola anche in Europa. Stiamo tutti collaborando a far lievitare i prezzi dei prodotti alimentari per rendere il cibo un privilegio dei ricchi. E non come qualcosa di accessibile alle classi medie e lavoratrici.

Se le campagne avessero avuto una buona lobby di comunicazione, questa situazione sarebbe stata evitata?

Nessuno è perfetto, ma quando il tuo prodotto non vale nulla, come nel caso del cibo, queste cose succedono. Tra il 2000 ed il 2020, grazie alla globalizzazione ed alle nuove tecniche agricole, il cibo europeo è stato il più economico della sua storia. Il cibo non compare in nessuna delle indagini di interesse. Se non si dà valore al cibo, si dà ancora meno valore a chi lo produce. Gli agricoltori diventano invisibili. Nel frattempo, la società urbana dà sempre più valore all'ambiente, e questo è molto positivo, ma dimentica la produzione alimentare. Tutte le regole che abbiamo stabilito in Europa ci limitano e limitano la nostra capacità di produzione alimentare. Certo, gli agricoltori hanno protestato anche prima, ma siccome non avevamo bisogno di cibo, non li abbiamo ascoltati. In quel momento, anche se la comunicazione fosse stata molto buona, per noi sarebbero stati degli invisibili. Ecco perché ho iniziato a coniare il concetto di vendetta delle campagne. Diventeranno visibili solo quando il carrello della spesa diventerà troppo ridotto. E sta iniziando a succedere.

Esiste un conflitto tra agricoltura e tutela dell'ambiente?

Nell'immaginario della società europea, ogni serra, ogni sistema di irrigazione, ogni azienda agricola è un'aggressione all'ambiente o un abuso di animali, e quindi si cerca di limitarli con regole. Stiamo dimenticando una variabile molto importante: il diritto a un'alimentazione varia, sana ed a prezzi ragionevoli per gli europei. È perfettamente possibile ottenere una produzione agricola sostenibile ed equilibrata. La mia tesi è che la politica agricola comunitaria, che è la politica più importante dell'UE, finora si è concentrata solo sulla sostenibilità, che deve essere mantenuta perché è essenziale, ma deve anche essere bilanciata con il diritto degli europei a un approvvigionamento alimentare vario, sano ed a prezzi ragionevoli. Gli agricoltori sono parte della soluzione, non del problema. Se continuiamo a fare come stiamo facendo ora, anche se siamo in un momento di de-globalizzazione, stiamo consegnando la chiave del nostro approvvigionamento alimentare a Paesi terzi e continueremo a pagare sempre di più per il nostro cibo. Se non raggiungiamo questo equilibrio tra ambiente ed agricoltura, ce ne pentiremo. È molto difficile, ma non dobbiamo arrenderci. Accettiamo solo il ‘buon agricoltore’, quello con quattro caprette e quattro alberelli. Se dovessimo vivere con questo modello di agricoltura, ogni pera o ogni mela ci costerebbe mille euro. Solo i ricchi ne mangerebbero.

Ed è lì che entrerebbe in gioco l'estrema destra per cercare di catturare le persone con il suo discorso negazionista sul cambiamento climatico.

Credo che le proteste degli agricoltori siano state molto più serie. È un mondo che non vuole morire e grida la sua disperazione. E lo ha fatto in Paesi con governi di destra e di sinistra. È un grido apolitico e profondo di un intero settore. Ma sarebbe altrettanto suicida dimenticare la sostenibilità dei sistemi naturali e delle campagne.

Parla del paradosso di volere cibo vario ed a basso costo, imponendo al contempo regole e leggi che lo rendono difficile. A questo si aggiunge la contraddizione di voler consumare su larga scala prodotti che potrebbero non essere adatti alla nostra agricoltura, come l'avocado, che richiede molta irrigazione. Cosa c'è di sbagliato in noi come società per non vedere questo paradosso?

L'avocado è una coltura irrigua che in molte zone è totalmente sostenibile. Nella zona costiera di Malaga e Granada si coltivavano mele ed arance, anch'esse irrigate.

Lei denuncia che c'è un doppio standard per quanto riguarda le questioni energetiche e l'irrigazione, che non si tiene conto dell'impatto ambientale delle piantagioni fotovoltaiche o delle installazioni di gas idrogeno, problemi che poi si danno nei trasferimenti d’acqua o nei piani d’irrigazione.

Sì, questa situazione è così radicata ed è molto curiosa. Se c'è qualcosa che inquina visivamente l'ambiente è un mulino a vento, e se c'è qualcosa che inquina il suolo è un impianto fotovoltaico. Eppure la società lo vede come qualcosa di più sostenibile di una coltivazione di pere. E tutto questo perché abbiamo demonizzato l'agricoltore e messo su un piedistallo il tecnico delle energie rinnovabili. Dobbiamo scegliere, come Paese, ma dobbiamo conoscere le conseguenze. Il flusso ecologico deve essere mantenuto, ma stiamo gettando a mare molti ettari di terra. La popolazione continua a crescere, la terra fertile diminuisce ogni giorno di più perché le infrastrutture urbane, le scuole, gli ospedali, i centri commerciali fotovoltaici divorano ogni anno migliaia e migliaia di ettari di terra fertile. Quindi c'è sempre meno terra e sempre più persone da sfamare. E per nutrire più persone con meno terra, bisogna irrigare. Dobbiamo decidere se vogliamo irrigare e produrre o se vogliamo che i prezzi di frutta e verdura aumentino.

E qui arriviamo al consumo di acqua: lo abbiamo visto con l'irrigazione di Doñana, in altri casi si tratta di produzione industriale o di uso urbano o turistico, e tutto questo in un contesto di siccità e di minori precipitazioni. È il consumo dell’acqua il grande problema che non viene affrontato in Spagna?

Ci sono Paesi che hanno meno precipitazioni della Spagna, come Israele, ma hanno molte più terre irrigate. Le medie delle precipitazioni non sono cambiate negli ultimi anni. Le precipitazioni possono essere più o meno concentrate, ma la quantità d'acqua caduta è la stessa. L'assurdità è che ci siano zone prive di acqua potabile in Andalusia o in Catalogna, quando di acqua ne hanno in abbondanza, e tutto perché la gente non vuole posare un tubo che dai serbatoi arrivi alla propria casa. E nel frattempo accettiamo impianti di gassificazione, condotte di idrogeno ad altissima pressione da Algeciras ai Pirenei, con una diramazione verso Lisbona ed attraversando parchi naturali. Ma questo è ciò che abbiamo deciso. L'anno in cui piove avremo l'acqua e l'anno in cui non piove non ci sarà nulla.

Lei parla come se tutto il cibo provenga dalla campagna e che la stampa 3D del cibo o la sintesi del cibo in laboratorio siano ancora lontane, anche se sono la grande promessa che ci dicono metterà fine alla fame nel mondo. Possiamo fidarci di queste innovazioni?

Credo che la società debba essere aperta a qualsiasi tipo di innovazione. Qualsiasi innovazione che migliori la quantità e la qualità del cibo è ben accetta. Ma quello che so anche è che quanto viene fatto ora è ben lontano dall'essere accessibile e sostenibile.

Durante la pandemia, abbiamo improvvisamente scoperto che spostare la produzione industriale in Asia sta costando caro all'Europa. Non ci sta succedendo la stessa cosa con il cibo?

E’ esattamente quello che sta succedendo. In Europa stiamo rendendo sempre più costosa la nostra produzione agricola, limitandola con restrizioni, ed è per questo che gli agricoltori hanno detto "quando è troppo è troppo". Abbiamo deciso che la campagna europea è fatta per passeggiare e che il cibo è una seccatura e che deve essere prodotto da altri e senza che guardiamo troppo da vicino come lo fanno. È surreale, ma è quello che sta accadendo e non credo che cambieremo a breve termine. Personalmente credo che si possa fare molto con le nuove tecniche agricole e che si possa migliorare l'ambiente anche con una maggiore produzione. Sono ottimista e credo che ci sia terra a disposizione per ancora molto tempo. Stiamo in un cambio di epoca, come è già successo per l'energia, e l'Europa, con un mondo in guerra, cambierà alcune delle sue politiche. Il problema è che ci vorrà molto tempo per arrivarci e prima il carrello della spesa arriverà i 500 euro e la gente inizierà allora a dare valore alla produzione in Europa.

Vedi, «Si no conseguimos el equilibrio entre medio ambiente y agricultura, nos arrepentiremos»

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