Giustizia, Pace, Integrità del Creato
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Ancora tanta sete di liberazione

Rivista Africa 01.09.2024 Marco Trovato Tradotto da: Jpic-jp.org

Una marea tumultuosa sta scuotendo i palazzi del potere in Africa: sono i figli irrequieti di questo continente che scendono in piazza per urlare a gran voce la loro rabbia e la loro voglia di cambiamento. Sono una moltitudine impressionante.

Ce l’hanno con leader politici ritenuti “corrotti”, “incapaci”, “al soldo dell’Occidente” (accusato di imperialismo e di neocolonialismo). Li abbiamo visti sfilare a Lagos, Dakar, Nairobi, Libreville, Johannesburg, Khartoum, Bamako, Ouagadougou, Niamey… Continueranno a farlo, sempre di più, e sarà impossibile per i governanti sfuggire alla forza dirompente di questo tsunami. Chi ha provato a reprimere i cortei (si contano già centinaia di vittime) non ha fatto altro che infiammare la protesta.

Chi ha commesso l’errore di ignorare il ruggito della piazza è stato sopraffatto dalle rivolte (talvolta scippate da militari golpisti) o travolto da disfatte elettorali. Chi ha evitato una prova di forza è stato costretto a scendere a patti coi manifestanti.

I giovani africani – che rappresentano il 70% degli abitanti subsahariani – sono più che mai determinati a farsi sentire, a ribellarsi al malgoverno, alla corruzione, alle inaccettabili ingiustizie che lacerano la società in cui vivono. Esigono dalla politica risposte e soluzioni ai loro problemi quotidiani: anzitutto la mancanza di lavoro, l’assenza di tutele e di welfare, l’insicurezza dilagante, l’inadeguatezza di scuole e università, la privatizzazione di una sanità sempre più elitaria. Contestano un modello economico basato sullo sfruttamento indiscriminato che aumenta il divario tra ricchi e poveri. Pretendono che le fortune celate nei loro Paesi siano usate per promuovere il benessere e lo sviluppo, e non per arricchire caste e oligarchie sostenute da forze straniere.

Nigeria manifestazioni

Non sono ancora un vero movimento, le mobilitazioni appaiono frammentate, dalle piazze devono emergere leader carismatici, ma le parole d’ordine e le origini delle proteste sono chiare e condivise. A nutrire il risentimento di questa generazione ferita è la crisi sociale ed economica innescatasi nel 2020 con la pandemia da covid – che ha frenato la crescita dei pil africani dopo 15 anni di boom – e acuitasi oggi con l’instabilità internazionale: la guerra in Ucraina ostacola l’arrivo dei cereali, mentre il conflitto a Gaza penalizza il commercio marittimo nel Mar Rosso. Le conseguenze economiche sono devastanti: difficoltà di approvvigionamento stanno causando un aumento vorticoso dei prezzi dei beni di prima necessità – in gran parte importati – in un’area geografica in cui il 40% degli abitanti vive al di sotto della soglia di povertà e dove l’inflazione sta facendo evaporare il potere di acquisto dei salari.

A peggiorare la situazione è il crollo delle monete nazionali (il rand sudafricano e la naira nigeriana, valute delle maggiori economie africane, hanno perso gran parte del loro valore) unito all’impennata dei debiti sovrani (nei confronti di Cina, Stati Uniti, Paesi europei, Banca mondiale e Fondo monetario internazionale). Per fare cassa, i presidenti aumentano le tasse e tagliano i sussidi. Ma ciò non fa altro che aumentare la collera e l’esasperazione, allargando la frattura tra la piazza (popolata da giovani) e il palazzo (dominato da vecchi). I figli dell’Africa – urbanizzati e digitalizzati – sognano un futuro migliore e vogliono esserne protagonisti. Chiedono rispetto, giustizia e opportunità. Servono leader capaci e responsabili che sappiano ascoltarli e soddisfarli. Serve aria nuova per sostenere le loro ambizioni di riscatto. Sarà impossibile soffocare la loro insopprimibile sete di liberazione.

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Foto. Kenya tumulti contro il Sistema finanziario. © GettyImages-2157587094-1170x781

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I commenti dai nostri lettori (1)

Bernard Farine 28.12.2024 Malheureusement, l'une des conséquences de la situation est la vague d'émigration vers l'Europe avec tous les drames qui l'accompagne et qui se heurte à l'intolérance grandissante des riches pays du nord.