La più grande distesa d’acqua dolce in Africa è minacciata dall’uomo. La vita di quaranta milioni di persone dipende dalle pescose acque del Lago Vittoria. Oggi il più grande bacino tropicale al mondo – esteso tra Tanzania, Uganda e Kenya – è un paradiso minacciato: inquinamento, piante infestanti, ipersfruttamento delle sue risorse, cambiamento climatico. Ed ora denunciano alcuni attivisti Ugandesi dalla francese Total con un progetto incompatibile dal punto di vista ambientale che vede coinvolto anche il bacino del Lago Vittoria.
Il Lago Vittoria è per estensione (69mila chilometri quadrati, 185 volte il lago di Garda) il più grande d’Africa, il secondo specchio d’acqua dolce del mondo, dopo il nordamericano Lago Superiore.
L’esploratore John Hanning Speke, primo europeo a vedere il lago – chiamato Nyanza dagli abitanti, ma da lui ribattezzato nel 1858, in onore della sovrana dell’Impero britannico – aveva esclamato, alla sua vista, che gli pareva di trovarsi davanti a un «mare tropicale». Esso costituisce il principale serbatoio del Nilo Bianco. È particolarmente ricco di biodiversità, con le sue 500-600 specie di pesci, secondo nel mondo solo al Lago Malawi. È anche il santuario degli scimpanzé sull’isola di Ngamba, in acque ugandesi. Le rive delle isole Ssese e quelle della costa ugandese ospitano impressionanti coccodrilli del Nilo e ippopotami. L’isola di Mfangano, nelle acque keniane, è nota per il suo sito di pitture rupestri risalenti forse a 4.000 anni fa. Sono repertoriate non meno di 230 specie di uccelli, tra cui la celebre gru coronata, emblema dell’Uganda.
Strage di pesci
Su questo universo affascinante pesano però molte minacce. La prima è l’ipersfruttamento delle risorse ittiche. Dagli anni Sessanta, quando fu introdotto artificialmente il persico del Nilo (Lates nicotilus), l’equilibrio dell’ecosistema è stato sconvolto. I pesci più piccoli sono stati decimati da questo predatore vorace che può misurare due metri e raggiungere un peso di due quintali. Inoltre la pressione dell’industria ittica sull’ambiente si è fatta insopportabile: il volume di cattura del pesce è decuplicato in cinquant’anni, raggiungendo l’attuale milione di tonnellate annuo (di cui circa la metà dagaa, sardine d’acqua dolce, e 230.00 tonnellate di pesce persico).
Si tratta di una quantità che supera di quattro volte uno sfruttamento sostenibile, stimato in 250.000 tonnellate da Richard Ogutu-Ohwayo, professore del National Fisheries Resource Research Institute ugandese. Dal 2000 al 2020 è triplicato il numero dei pescatori, passati da 70.000 a 210.000.
Secondo studi del dipartimento di pesca e scienze acquatiche dell’Università del Kenya come pure della Lake Victoria Fisheries Organisation (Lvfo) ugandese, di questo sfruttamento abnorme fanno le spese altre popolazioni di pesci del lago, tra cui tilapie e ciclidi, il cui calo viene accelerato dal comportamento predatorio del persico del Nilo, carnivoro. Gli scienziati vi hanno contato duecento specie ittiche diverse: la metà di quante ne esistevano nel secolo scorso. La conferma viene anche da uno studio della Fao, che ha constatato un’allarmante caduta del 41% di dagaa da 1,29 milioni di tonnellate a 700.000 nel periodo tra il 2015-20, che è andata peraltro di pari passo con una diminuzione del 9,5% dello stock di persico del Nilo, a sua volta vittima della sovrappesca e in particolare della pesca illegale di avannotti.
Piante infestanti
Intervengono anche altri fattori a spiegare il declino delle risorse ittiche. Nel 2008, un gruppo di ricercatori delle università di Bergen (Norvegia), Waterloo (Canada), Wageningen (Paesi Bassi) e Minnesota (Usas) nonché della Lvfo mostrò come l’eutrofizzazione delle acque del lago, provocato dallo sversamento di fertilizzanti, avesse sullo stato della risorsa ittica un effetto disastroso più disastroso della stessa sovrappesca. Il fenomeno, infatti, favorisce lo sviluppo di giacinti d’acqua (Eichhornia crassipes), una pianta infestante che ha colonizzato il lago e ora minaccia di soffocarlo. Le foto scattate dai satelliti mostrano un tappeto limaccioso che si allarga sempre più. E sotto la superficie dell’acqua si cela una foresta torbida costituita da radici profonde e ramificate. Un vero e proprio muro vegetale, lungo talvolta molti chilometri, che strangola ogni altra forma di vita, trattiene sedimenti, rallenta le correnti e intralcia la navigazione.
La diffusione dei giacinti e l’impoverimento della biodiversità del lago preoccupano le autorità keniane, che incoraggiano l’alternativa dell’acquacoltura. I pescatori della Dunga Beach Management Unit (Dunga Bmu) allevano le tilapie in gabbie nel lago. Ma è un metodo che comporta il potenziale pericolo di inquinamento a motivo delle deiezioni degli animali allevati in gabbia e dei rigetti di pesci morti. Questa pratica è proibita nel Lago Michigan, negli Stati Uniti, dove il senatore Rick Jones ha denunciato il fatto che un allevamento di 200.000 pesci produce tanti rifiuti quanto una città di 65.000 abitanti.
Mercurio e greggio
Il secondo flagello che minaccia la vita del lago è l’inquinamento, essendo la popolazione delle sue sponde decuplicata, dagli anni Trenta, fino agli attuali 40 milioni. È un inquinamento che mette a rischio le popolazioni di pesci a motivo della mancanza di impianti di depurazione delle acque, lamenta Richard Abila ricercatore al Kenya Marine and Fisheries Institute.
L’inquinamento viene in particolare, oltre che dai fertilizzanti, anche pesticidi, erbicidi e sacchetti di plastica. Una delle fonti di inquinamento più pericolose è quella del mercurio, utilizzato dai cercatori d’oro dell’area di Olini in Kenya, non lontana dalla frontiera tanzaniana, il quale finisce nel lago portatovi dalle acque dei corsi d’acqua. «Se non si interviene subito, fra cinquant’anni il Lago Vittoria sarà morto, con tutto quello che vi riversiamo dentro», ammonisce Peter Nyong’o, il governatore della contea keniana di Kisumu.
A tutto ciò si aggiunge lo spettro di una marea nera. La minaccia proviene da un oleodotto lungo 1.445 chilometri, tra i giacimenti della regione del Lago Alberto, in Uganda, e il porto tanzaniano di Tanga, che è in corso di costruzione a opera di un consorzio in cui figurano la multinazionale francese Total, la società irlandese Tullow Oil e la cinese Cnooc. La condotta, di una capacità di 200.000 barili/giorno, deve attraversare per 460 chilometri il bacino del Lago Vittoria, costeggiandolo per alcune centinaia di chilometri. E sarà una condotta interrata. Ciò preoccupa molte ong di difesa dell’ambiente nonché Oxfam International, che accusano Total di avere scelto il metodo di costruzione meno caro e meno sicuro.
Una marea nera sarebbe una catastrofe per la fauna del lago e l’alimentazione dei suoi abitanti, come pure per l’approvvigionamento di acqua, che si tratti di irrigare aree agricole o di fornire acqua potabile alla capitale ugandese, Kampala, e alle città lacustri di Kisumu (Kenya) e di Mwanza (Tanzania). Nell’agosto 2019, il governo tanzaniano ha inoltre annunciato l’intenzione di costruire un acquedotto lungo 135 chilometri, con una capacità di 19.000 metri cubi, per distribuire acqua potabile a 236.000 persone di 136 villaggi del nord del Paese.
Sabbie e acque a rischio
Lo sfruttamento illegale delle sabbie rivierasche per i bisogni delle imprese edili ne provoca l’esaurimento e degrada l’ecosistema, in particolar modo lungo la costa ugandese. Comporta inoltre cambiamenti nella velocità delle correnti, provocando un’accelerazione dell’erosione lungo il Nilo Bianco, a valle, come pure depositi di sedimenti e di perturbazioni allo sviluppo della flora acquatica che, riducendo la penetrazione della luce, diminuiscono le opportunità di riproduzione dei pesci.
Il cambiamento climatico è l’estrema minaccia per il lago, la sua fauna, la sua flora e i suoi abitanti. È assodato che nella regione la temperatura crescerà fra 1 e 5 °C nel corso dei prossimi cento anni. Proporzionalmente aumenterà l’evaporazione – avverte Emily J. Beverly, ricercatrice al dipartimento Terra e scienze dell’atmosfera dell’Università di Houston –, con il rischio di abbassare il livello del lago, specie se si assisterà a un simultaneo calo delle precipitazioni.
Lo scenario peggiore indica che entro una decina di anni il lago potrebbe cessare di defluire nel Nilo Bianco, unica via d’uscita per le sue acque. Le conseguenze sarebbero devastanti per i Paesi a valle, dato che il Lago Vittoria è il più grosso fornitore d’acqua del Nilo al di fuori dei periodi di pioggia sugli altopiani etiopici, tra luglio e ottobre. La grande diga idroelettrica di Jinja, situata alla nascita del Nilo Bianco, in Uganda, non sarebbe più alimentata. Sono previsioni fondate su estrapolazioni a partire dalla constatazione che il lago si è già completamente vuotato almeno due volte, 17.000 e 15.000 anni fa.
Vedere, L’agonia del Lago Vittoria
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