Il Sinodo dei vescovi, come cammino per corso insieme dal popolo di Dio, sta vivendo una sosta tra la sessione dell’ottobre scorso e quella che dovrebbe essere l’ultima, prevista per il prossimo mese di ottobre.
Certo, il tempo che ci separa da quell’appuntamento non può essere una sosta inoperosa, una vacatio, ma piuttosto un tempo di approfondimento, di confronto e di ricerca da parte dei teologi innanzitutto, da parte delle Chiese locali e, quindi, anche dei vescovi insieme a papa Francesco, vescovo di Roma. Christoph Theobald, gesuita e teologo francese di nazionalità tedesca, oggi tra i più autorevoli della Chiesa, ha pubblicato una riflessione sul Sinodo al quale ha partecipato come esperto, con un titolo che presenta il Sinodo in corso come un Concilio, anche se non osa dirsi tale (Un nouveau Concile qui ne dit pas son nom ? Paris 2023).
Egli suggerisce che, di fatto, questo Sinodo ha assunto una forma più conciliare rispetto ai precedenti e risulta una “continuazione” del concilio Vaticano II.
Ora, se è vero che lo Spirito santo che soffia sull’assemblea sinodale sembra essere lo stesso del Concilio, se è vero che è in atto un discernimento collettivo, ritengo sia tuttavia prematuro giudicare questo Sinodo, del tutto nuovo nella forma, veramente in continuità con il Vaticano II. Ci sono infatti, purtroppo, alcune aporie e contraddizioni che ne rendono precaria la conclusione in vista di una riforma della Chiesa e del messaggio missionario per un mondo indifferente e ormai non più cristiano.
Da questo Sinodo è scaturita di nuovo l’urgenza di una “conversione ecclesiale” (non è sufficiente la “conversione pastorale” che nessuno sa definire!), che sia riforma della Curia non tanto come struttura ma come sensibilità e coerenza con la Chiesa di oggi; una riforma della vita di vescovi e di presbiteri che non lasci spazio al clericalismo; una riforma della vita dei laici che sappiano incarnare la differenza cristiana resistendo alla mondanità e vivendo della fede in Gesù Cristo!
E per questo occorre anche che le Chiese locali, e in esse le singole comunità, siano più concretamente coinvolte con il Sinodo come processo ecclesiale. Sono veramente turbato da quello che — incontrando parrocchie in tutta Italia — ho sentito: la maggior parte delle persone e dei fedeli non sa che cosa sia il Sinodo. E, comunque, in proposito non è stato né detto né fatto nulla in parrocchia. Com’è possibile? Perché i presbiteri non credono al Sinodo, perché non si lasciano coinvolgere in questo percorso ecclesiale? Eppure, non è semplicemente un evento che tra i tanti creati dalla Chiesa — ha affaticato tutti, ma è un processo quotidiano, vitale, che può coinvolgere persone e famiglie nella loro vita di fede. Sarebbe davvero importante che la Segreteria generale del Sinodo dei vescovi e le Conferenze episcopali regionali richiamassero con forza le parrocchie a vivere questa sinodalità, senza la quale domani la nostra Chiesa sarà sempre più anonima, sfilacciata, povera e certamente senza possibilità di fraternità.
L’abbiamo detto e scritto più volte: la crisi della liturgia (in particolare della messa domenicale oggi) è dovuta alla mancanza di fraternità, ad aver fatto della messa un luogo di straniamento e, quindi, ad aver permesso che la fede si indebolisse. Mancano fede e fraternità nelle nostre comunità cristiane. E solo una pratica sinodale può risvegliarle e farle vivere. Ne sono personalmente certo.
Pertanto, in questo tempo sarebbe cosa buona e feconda che Francesco chiedesse ai teologi, individuati per la loro competenza, di studiare i problemi, le richieste emerse nella prima sessione del Sinodo, e che questi giungessero al prossimo appuntamento di ottobre con la possibilità di poter intervenire in assemblea con una parola segnata dal ministero dei “dottori” (didàskaloi) sui quali la Chiesa è fondata, oltre che sugli apostoli e i profeti.
E che potessero con l’autorità del loro carisma dire “parole di sapienza” e illuminare i lavori sinodali. C’è urgenza di questo, perché è bello aver dato la parola a tutti, ma non dimentichiamo che le parole di tutti hanno peso e autorità diversi nella Chiesa. I doni non sono appiattiti e, se è vero che ci sono tanti doni e carismi, fra loro non dimentichiamoci che primeggiano quelli degli apostoli, dei profeti e dei “dottori” (cf 1Cor 12,28).
La Chiesa di Dio è in pellegrinaggio verso il Regno, non è la Gerusalemme celeste che deve scendere dall’alto, non è ancora la Sposa immacolata e fedele, ma è in attesa che il Signore la conduca e la renda immacolata con il suo sangue, purificandola e santificandola. Non possiamo sognare una Chiesa pura come la volevano i catari, ma noi vogliamo una Chiesa in cui Cristo regni; una Chiesa nella quale il primato sia dato alla parola di Dio e la carità sia costantemente ricercata da ogni cristiano.
Spero che il Sinodo non cancelli nessuno dei “problemi sensibili” emersi in itinere fin qui, ma abbia una parola franca, non ambigua ma chiara, corrispondente all’evangelico «Sì, sì. No, no» (Mt 5,37), senza la preoccupazione di dover piacere al mondo e senza però l’ansia di condannare e di usare parole arroganti. Il popolo di Dio guidato dai pastori possiede un vivo sensus fidei e non cederà così facilmente a tentazioni antagoniste o scismatiche: purché i pastori siano in mezzo, davanti e dietro al popolo, sempre solidali con lui anche in questa crisi della Chiesa, che si deve attraversare per trovare vie nuove per il futuro. Resta, perciò, essenziale l’unità della Chiesa attorno al Papa che, in questo tempo, è fatto oggetto di rancori ecclesiali e di una cattiveria che viene dal Maligno, dal Divisore.
Papa Francesco è il successore di Pietro, ed è stato chiamato a compaginare e a presiedere la comunione nella Chiesa e fra le Chiese. A lui si deve il massimo rispetto, anche quando magari non si è d’accordo nel giudizio su alcune realtà o su alcuni provvedimenti. Questo non significa che non sia possibile una rispettosa critica, ma si richiede umiltà. E, in ogni caso, premura e preghiera per chi è stato posto a pascere la Chiesa di Dio.
Oggi le tentazioni centrifughe e di conseguenza gli attacchi a papa Francesco - fino a delegittimarlo e addirittura a dichiararlo eretico - sono molti e resi efficaci dai social. Ma questi cattolici non sanno quel che dicono e quel che fanno. Il Signore ha assicurato a Pietro una preghiera “perché la tua fede non venga meno!” (Lc 22,32); e come può il Cristo non essere esaudito da Dio?
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