Giustizia, Pace, Integrità del Creato
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La stella di Natale

Racconti e leggende 24.12.2024 Paul Roland Tradotto da: Jpic-jp.org

Tra tutti i minatori del Griqualand (Sudafrica), Pierre Valaur era l'unico a non festeggiare con gioia la sera del 24 dicembre 1875. Fuori dall'accampamento, i Cafres - dall'arabo kaffir (infedele), un nome dispregiativo dato dagli arabi agli africani- avevano acceso grandi fuochi attorno ai quali ballavano al suono di una fantasiosa orchestra. Nella sala dell'unica locanda, illuminata per l'occasione da grandi lanterne di carta appese a un gigantesco albero di Natale, i cercatori di diamanti facevano molto rumore.

Nella sua misera capanna, Pierre trascorreva la vigilia di Natale più triste che avesse mai conosciuto. Francese e orfano, un giorno si era ritrovato erede di diecimila franchi lasciati da un lontano parente, si era lasciato attirare in quell'angolo d'Africa dove la scoperta di miniere di diamanti aveva fatto scalpore.

Pierre aveva ventisette anni ed era pieno di energia: aveva deciso di usare il suo modesto gruzzolo per acquistare una fetta di quella terra diamantifera, dove un contadino boero di nome O'Reilly aveva trovato per la prima volta una di quelle pietre preziose, venduta al fantastico prezzo di un milione e trecentosettantacinque mila franchi.

“Chissà”, si disse, “se non avrò la stessa fortuna!”

Partì... Dopo aver pagato il viaggio, gli rimase giusto il denaro per comprare un piccolissimo appezzamento di terreno e l'attrezzatura necessaria per scavare. Pieno di speranza, si mise al lavoro; sobrio, tenace, laborioso, avrebbe dovuto farcela, se, in questo genere di avventure, il caso non giocasse un ruolo così importante! Ahimè! Dopo tre anni di costante lavoro, Pierre si ritrovò più povero di quando era arrivato. Mentre molti dei suoi compagni si arricchivano, lui riusciva a ricavare dalla sua terra solo diamantini così piccoli che, venduti, gli consentivano a malapena di vivere in questo suo nuovo Paese dove i beni di prima necessità avevano assunto un valore enorme.

Per quattro volte cambiò zona, sperando che altrove la terra fosse più produttiva: la sfortuna lo seguiva. Cominciò a indebolirsi, si abbandonò all’angoscia, non voleva più vegetare in questo ingrato Griqualand, né tornare in Francia dove nessun volto amato gli avrebbe sorriso. Quella notte di Natale, ricordando le dolci gioie della sua infanzia, mentre i suoi compagni si abbandonavano alla festa, Pierre cedette alla disperazione: decise di uccidersi, di lasciare questa vita dove nulla poteva trattenerlo.

Uscì. La notte era limpida e calda, una di quelle belle notti estive africane in cui brillano migliaia di stelle. Passò davanti a una fila di capanne silenziose, abbandonate dai minatori che cantavano canti natalizi nella locanda. Andava verso la sua terra dei diamanti, dove, per sfidare il destino che lo aveva sconfitto, voleva gettarsi dalla cima della sua miniera, a trenta metri di profondità.

Quando giunse all'ultima capanna, la bella voce d’una bambina lo trattenne. Senza volerlo, si lasciò distrarre dal suo obiettivo di morte, aggirò un piccolo ciuffo di eucalipti che ombreggiava l'abitazione e giunse in un angolo di terra incolta al centro del quale vide una piccola creatura, con le mani giunte e la testa alta.

“Buon Babbo Natale”, diceva, “metti quella bella stella che vedo lassù nella mia scarpa stasera, e ci giocherò ogni giorno”.

Quando sentì il rumore, la bambina si alzò. Senza spaventarsi, sorrise al minatore che le chiedeva: “Chi sei?”

“Laetitia Vasari, ho cinque anni e sto aspettando papà”. Pierre trattenne un'esclamazione. Quella stessa mattina, Andrea Vasari era stato ucciso dai suoi compagni: per furto. Nessuno aveva pensato alla bambina orfana, che occupava un posto così piccolo in quel campo un po' selvaggio in cui viveva da due anni, da sola, non avendo più una madre.

Dopo la morte della moglie, Vasari, che di professione faceva il ladro, era venuto a Griqualand per sfuggire alla stretta sorveglianza della polizia, nella speranza di accumulare la fortuna che la sua vita di ladro non gli aveva procurato. Non volendo separarsi dalla figlia che amava, la portò con sé e, grazie alla sollecitudine del padre, Letitia non aveva mai sofferto durante il suo soggiorno nel campo. Ma cosa ne sarebbe stato di lei ora che il padre era morto, vittima della sua inguaribile inclinazione al furto?

Pierre guardò pensieroso la bimba ormai orfana. Vedendo che tremava e che il suo viso era pallido, non volle preoccuparla e cercò di sorriderle mentre le prendeva la mano.

“Cosa hai chiesto a Babbo Natale?”

“Una stella”.

“Una stella! - ripeté facendosi il sorpreso -, “Perché?”

“Per giocarci. Oh, non la romperò, e quando farà buio in casa nostra, mi darà luce. Lassù, la vedi sulla punta del mio dito? È la più bella !”

Il giovane prese in braccio la bambina, la condusse dentro casa e la adagiò nel suo letto, che la mano del padre non aveva rifatto al mattino. Docile, la bimba bevve il tè caldo che le aveva preparato, lo ringraziò e gli chiese di andare a cercare “il suo caro papà” il prima possibile.

Lui la salutò e stava per andarsene, quando, notando la scarpa che troneggiava sulla soglia della porta dove sarebbe entrato Babbo Natale - la casa non aveva il camino - le spiegò, per prepararla allo sconforto del risveglio:

“Non contare sulla tua stella, il cielo è troppo alto perché un vecchio Babbo Natale possa salire lassù e raccoglierla”.

“Lo pensi davvero? - rispose lei, sorridendo-. Prenderà una scala, l'ho pregato tanto”.

Non ebbe il coraggio di distruggere la fiducia della bimba: non sapeva ancora che una stella non è un diamante luminoso e splendente che Babbo Natale potrebbe anche regalare, ma un mondo immenso e lontano. La lasciò sola e riprese il suo cammino ormai deciso verso la morte.

Il campamento dei diamanti non era buio, perché la notte era superba. Senza esitazioni, senza rimpianti, si diresse a passo spedito verso la sua tenuta, che, come le altre, era chiusa da una recinzione di pali di legno. Si fermò sul bordo, incrociò le braccia e disse freddamente:

“La mia vita non serve a nessuno, non appartiene che a me. Nessuno soffrirà della mia morte”, aggiunse, pensando a Vasari che aveva lasciato la figlia sola al mondo.

La triste condizione di quella bimba, che solo ieri conosceva a malapena, lo strappò d’un colpo dalla sua angoscia. Il cuore gli si strinse, spaventato dalle sofferenze che il futuro riservava a Letitia. La vocina le cinguettò all'orecchio: “Avrà una scala, l'ho pregato tanto di farlo!”.

Guardò il cielo. Oh, come scintillava la stella che la bambina gli aveva mostrato! Non pensò a lungo; d’un gesto rapido si ritrasse all'indietro, lontano dal pozzo dove voleva gettarsi.

“Ancora poche ore per lei”, disse a se stesso con decisione. “Ha pregato così bene. Se solo potessi metterle una stella nella scarpa!”

Andò alla capanna di Vasari, ascoltò sulla porta il respiro un po' affrettato dell'orfanella e tornò alla sua dimora. I minatori cantavano ancora, i fuochi ardevano tra i rami. Il giovane entrò nella sua capanna deserta, accese una lanterna, prese un pesante fascio di cavi, il suo piccone e due secchi di cuoio, tornò al campo diamantifero e scese con l'aiuto di corde fino al fondo nell'abisso della sua miniera, dove un attimo prima lo aspettava la morte. Quando i due secchi furono pieni, li legò alle due corde, risalì, issò i secchi e tornò a casa per setacciare, alla sola luce della sua lanterna, la terra maledetta che ingannava sempre le sue speranze.

                                                                       ****

“Ecco, Valaur! Ecco Pierre! Cosa gli è successo? Hai finalmente avuto un po' più di fortuna? Vieni a cantare e a bere con noi; sei troppo sobrio, la fortuna sorride solo a chi beve!”

Le parole, suscitate dalla sua improvvisa apparizione, risuonarono nella stanza dove i minatori stavano facendo il loro picnic natalizio. Il volto di Pierre non si rilassò, le sue labbra rimasero chiuse.

“Sembra”, disse una voce sprezzante, “che Valaur abbia appena trovato una fortuna”.

“Proprio così”, disse finalmente la voce di Pierre. Era pallido e agitato. Si alzarono tutti insieme, si avvicinarono vociando in gruppo: “Dove? Quando? Quanto è grande? Quanti carati?”.

Il giovane tirò fuori dalla tasca una pietra lucente, più grande di una grossa nocciola. Un tremendo grido di entusiasmo si levò da tutti i minatori. Il diamante pesava almeno cento carati (venti grammi). Valeva più di mezzo milione.

Il Natale, il vino e le pipe furono dimenticati; il fortunato proprietario del tesoro fu assediato di domande; la speranza accese gli occhi di tutti: oggi era il francese, domani sarebbe stato senza dubbio qualcun altro ad arricchirsi con questa terra così accuratamente scavata a colpi di piccone.

Sordo alle domande incalzanti, Valaur stava parlando con Cornelius, l'olandese che lavorava a Griqualand come tagliatore di diamanti. Ascoltava le spiegazioni del giovane, accarezzando con il dito e con lo sguardo la pietra informe che presto avrebbe tagliato. Pierre raccontò la storia in poche parole. Avendo trovato la figlia di André Vasari sola e febbricitante, aveva voluto tentare la fortuna per lei e, nei due secchi di terra portati dal campo, aveva raccolto questo diamante, un regalo di Natale per l'orfanella.

Poche ore dopo, il giovane lasciava il tagliatore, stringendo in mano un diamante tagliato di valore inferiore al suo, prestatogli su sua richiesta da Cornelius, che aveva tenuto l'altro come pegno. Per il resto della notte, seduto sulla soglia della porta semiaperta di Laetitia, strofinò il diamante con un panno di lana e, quando la mattina la bambina si svegliò, pose frettolosamente il gioiello lucente sulla punta della scarpina che aspettava la visita di Babbo Natale.

Con il cuore che gli batteva forte, osservava. Un grido d'estasi entusiasta venne dalla cuccetta:

“La mia stella!”.

In due balzi, Laetitia fu alla scarpa; s’inginocchiò, prese nella sua manina la pietra che scintillava da tutte le sue sfaccettature, vi pose un bacio, poi disse dolcemente: “Hai sbagliato, Babbo Natale, l'altra era più grande, ma non importa, questa è bella e brilla altrettanto”.

Attraverso la finestra, Letitia vide Pierre e gli fece cenno di entrare:

“Vedi, Babbo Natale ha preso una scala per cogliere la mia stella”.

Baciò quel viso chiaro e gioioso di bimba, il cui ricordo, lì vicino alla miniera, lo aveva strappato alla morte, e i begli occhi azzurri e limpidi gli sembrarono più preziosi dei più grandi diamanti del mondo. Si disse che presto lei avrebbe chiesto di suo padre, che lui l'avrebbe consolata, cullata, chiamata figlia, e la vita sarebbe sembrata bella per entrambi; era così piccola e dimenticare è così facile a quell'età.

La Stella di Natale aveva salvato un uomo e dato un padre ad una bambina.

Vedi, L'étoile de Noël

 

 

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