Era appena pubblicato il rapporto della prima delle due assemblee conclusive del Sinodo dei vescovi sulla sinodalità quando, con sorpresa di tutti, è uscita la controversa Dichiarazione dottrinale "Fiducia Supplicans", che ha suscitato scalpore ‘urbi et orbi’ nella Chiesa cattolica e, emblematicamente, in Africa. Le riflessioni che seguono non si pretendono un'opinione, ma solo ricordano alcuni "ingredienti" necessari per "cucinare" un piatto così complesso come una benedizione anche ridotta alle coppie dello stesso sesso.
Louis-Marie Grousset pubblicava nella Croix Belga una provocazione: "Non riesco a giustificare il fatto che la Chiesa cattolica continui a benedire i raccolti, le armi dei combattenti e i combattenti stessi, le navi commerciali o da diporto, i veicoli turistici, l'arrivo delle stagioni, gli oggetti di pietà, le moto, le chitarre, i pellegrini e gli animali, ma trovi così difficile benedire delle coppie umane che si amano".
Parole pienamente condivisibili ma che offrono anche spunti di riflessione. La benedizione è dire bene, come indica la sua origine nell'ebraico baraka. Questa baraka, questo dire bene non può essere che per Dio, l’Unico buono, per le cose buone che dona. Lo si invoca quindi affinché possiamo bene le sue cose buone, per il nostro bene e per il bene degli altri. Ad essere radicalmente critici si devono cambiare tutte le formulazioni delle benedizioni che si danno, anche in Africa, a cibo, polli, automobili e, soprattutto, armi. Anche la Chiesa cattolica ha inciampato a lungo sull’incoerenza della guerra, ma finalmente ha chiarito la sua posizione e oggi condanna, come fa spesso papa Francesco, anche la costruzione di armi.
Le allusioni di Grousset si riferiscono principalmente a fatti della storia occidentale che non toccano per nulla la sensibilità africana ma mettono in risalto come connotazioni storico-culturali affettano i contenuti di fede: la prospettiva eurocentrica nel caso di Grousset è molto diversa su questi temi da quella africana, per esempio. Le reazioni positive o avverse alla "Fiducia Supplicans" dipendono dunque anche dalle differenti visioni culturali dei popoli in cui la Chiesa si trova a vivere? Senza dubbio e, si potrebbe aggiungere, inevitabilmente.
La Chiesa cattolica ha sempre considerato che il contenuto della sua fede - il depositum fidei - trova la sua fonte nella Sacra Scrittura, fondamento e criterio della fede, nella tradizione ecclesiale o magistero, autorità indiscutibile per l'interpretazione della Scrittura, e nel sensus fidei del popolo cristiano, il soggetto della fede. Il magistero è arrivato a dichiarare la fede nell'Immacolata Concezione di Maria e nella sua Assunzione al cielo, di cui esistono vaghe vestigia nella Scrittura e tracce nel magistero, grazie ad una continuità nel sensus fidei del popolo cristiano. In altre parole, il depositum fidei ha il credente come soggetto, lo pone al centro del cammino di fede, un cammino di salvezza, non astratto ma offerto a persone concrete.
Il sensus fidei del popolo cristiano ha sempre connotazioni culturali; una comunità umana esprime la sua fede solo attraverso la propria cultura, come ha fatto Gesù e, dopo di lui, gli apostoli e le Chiese nel corso dei secoli. La cultura non è mai all’origine della fede in nessuna religione, ma nessuna fede può esprimersi e vivere se non all'interno di una cultura.
Le leggi ugandesi contro l'omosessualità, l'appello del presidente burundese a uccidere gli omosessuali, il rifiuto del governo keniota delle dichiarazioni di Barak Obama durante la sua visita in Africa dimostrano quanto ci sia di culturale nell’atteggiamento in Africa riguardo all'omosessualità: attaccate alla loro identità, le società africane la rifiutano, ne rifiutano le conseguenze che, nella loro logica, sono prevedibili ed inammissibili ed indicano alle Chiese l’atteggiamento a seguire. Le Chiese l’assumono sì per amore d’una morale tradizionale, però anche se non soprattutto per adesione all’identità culturale condivisa con le proprie società.
Indicative, a questo proposito, le dichiarazioni del cardinale Ambongo, presidente delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar. In un messaggio pubblicato su diversi social network, accusa in modo piuttosto violento le culture occidentali d’un nuovo colonialismo volto a trascinare l'Africa nel loro stesso marasma che risulta dal rifiuto della famiglia fondamento della società, dalla negazione della procreazione come scopo primario del matrimonio e per anteporre al bene della comunità la soddisfazione e l'interesse personale. L'intimità sessuale non era al centro degli scopi del matrimonio prima dell'arrivo della cultura occidentale e del Vangelo. L'iniziazione sessuale tra cugini prima del matrimonio, i fenomeni di omosessualità nella storia dell'Africa spesso legati alle influenze arabe, la rottura delle coppie senza figli, lo ricorda. Lo scopo primario del matrimonio era, come lo è stato anche in Europa ed in altre parti del mondo, l'alleanza tra famiglie per la sicurezza e la continuità del clan e della tribù attraverso la procreazione. Il matrimonio omosessuale, per la sua natura sterile, richiede, come di fatto avviene, la ricerca dei figli necessari agli scopi del matrimonio con tecniche fuori dalla natura e quindi fuori dalla cultura africana, che per il Cardinale non nient’altro che nuovi strumenti di dominazione coloniale.
Il punto nevralgico diviene allora il principio epistemologico, che è stato ed è fonte di conflitti e manipolazioni varie, da cui parte l'antropologia culturale: ciò che non è natura è cultura. La nozione tomista di legge naturale attribuiva forse troppo alla natura a scapito delle culture; da quando l'antropologia è entrata a far parte delle scienze umane, la deriva è invece quella di attribuire troppo alla cultura spesso con lo scopo di imporre ideologie asservite a interessi economici. Non si può negare la predominanza maschile nelle culture occidentali - non sempre vera in altre culture – ma non si può evitare l'impressione di manipolazioni ideologiche quando si pretende il diritto d’un bambino di dieci anni a cambiare sesso a favore di un'identità psicologica diversa dalla sua realtà fisica.
Papa Benedetto, parlava di relativismo, rifiutando il relativismo teologico: Dio esiste, è Unico e quindi la vera conoscenza di Lui non può che essere unica. La sua tendenza è stata poi quella di assegnare questo approccio a una sola cultura, quella greco-occidentale. L'assoluto del Dio Unico ha invece conosciuto nel corso della storia una moltitudine di approcci, anche nella Chiesa cattolica, tutti segnati e mai del tutto purificati da un certo relativismo culturale, perché il sensus fidei è inevitabilmente condizionato dal tempo e dallo spazio, e dalle culture di cui si nutre.
Il politicamente corretto, da parte sua, si è completamente adagiato nel relativismo, tendendo a fare del pensiero unico il dio della propria cultura. Purtroppo le culture con il passare del tempo si corrompono: la pretesa di un'evoluzione culturale lineare, sempre più nobile ed elevata ha portato al razzismo ed all’etnocentrismo, il sensus fidei è sfociato talvolta nell'eresia. Ridurre tutto a cultura finisce con asservire la società agli interessi del mercato.
Papa Giovanni Paolo 2, parlando della conversione al Vangelo delle culture affermava che la fede in Cristo offre ad ogni cultura il cammino per raggiungere la sua pienezza. A torto o a ragione, voleva dire che Cristo è l'alfa e l'omega della storia, l'inizio e la fine: tutto inizia con Lui e in Lui trova la sua pienezza. Le persone, le società come soggetti di cultura – la loro costruzione umana –scaturendo dall'Unico Dio sono come innumerevoli fiumi che trovano in Cristo l’unica sorgente e, attraverso di Lui, confluiscono come fiumi d’acqua viva nella pienezza dell’immenso Oceano che è l'Unico Dio.
La Dichiarazione dottrinale "Fiducia Supplicans" è arrivata poco dopo la chiusura della prima assemblea generale del sinodo. In un articolo pubblicato su Settimana News il 30 ottobre 2023, Paul M. Zulehner suggerisce una proiezione per la seconda sessione: "Sarebbe il preludio ad un successo rivoluzionario dell'assemblea sinodale del 2024, se a livello di continenti e di conferenze episcopali si aprissero nuovi spazi decisionali per l’unità nella diversità del "cammino sinodale". E concludeva: "A quel punto, le Chiese africane non sarebbero più obbligate ad accettare l'esenzione dal celibato decisa per l’Amazzonia, e le regioni ecclesiastiche dell'Europa orientale non sarebbero obbligate ad accettare la benedizione delle coppie dello stesso sesso. L'Africa potrebbe sviluppare un nuovo approccio pastorale alla poligamia, come richiesto esplicitamente dal rapporto". Soggetti della fede, i popoli in cammino, vivono la fede in una cultura che si purifica al contatto del Vangelo, ma che nel tempo può anche regredire: la Chiesa come madre ha la pazienza della misericordia: accoglie, non condanna; illumina, non costringe; offre la verità, non la impone; parla a nome di Dio, ma non pretende giudicare a suo nome. Se amiamo il nemico senza dire bene delle sue azioni, anche quando sono una banda e un esercito, perché non dire bene di due persone anche quando sono, se lo sono, in errore?
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