In quel giorno Viracocha, il Dio creatore, guardò giù sulla terra. Vide che era spoglia, avvolta da un'oscurità impenetrabile, perché la luce del giorno non esisteva ancora. "Sorse allora un senso di gratitudine verso il Creatore ed il bisogno d’innalzare a Lui la preghiera di ringraziamento". Un insegnamento fondamentale per sperare meglio nel nuovo anno: proprio mentre il bellissimo Titicaca è in pericolo a causa dei cambiamenti climatici.
Taguapac, sua moglie ed i suoi figli, uniche creature umane allora, avevano trovato rifugio sotto una roccia nel cuore delle Ande. Conducevano una vita di stenti, perché la terra, immersa in una notte senza fine, non produceva frutti. Il cuore di Viracocha si mosse a compassione nel vedere le difficoltà in cui vivevano le sue creature e decise d’intervenire.
Chiamò al suo fianco Inti, l'uccello sacro, e Titi, il puma dagli occhi penetranti.
Viracocha disse a Inti, che si era appollaiato alla sua destra: "Rivolgi il tuo sguardo verso la terra e fa' che il buio e la luce si avvicendino ad intervalli regolari".
Obbedendo al suo Dio, l'uccello sacro spalancò gli occhi: le sue pupille brillarono per metà di una luce dorata e per metà di un blu intenso. Improvvisamente un lato della terra fu immerso in una vivida luce, mentre l'altro lato rimase immerso nell'oscurità.
Il Dio creatore parlò di nuovo. Si rivolse a Titi, il puma, e gli ordinò: "Volgi il tuo sguardo verso la parte oscura della terra ed accendi le stelle sospese nel cielo".
Immediatamente Titi rivolse lo sguardo verso le stelle sparse nel cielo ed esse si accesero e brillarono; sembravano palpitare di gioia come se volessero danzare davanti al loro Creatore.
Accarezzata dai raggi del sole, la terra cominciò a produrre fiori e frutti.
Taguapac, sua moglie ed i suoi figli non vagarono più qua e là in cerca di cibo e di riparo. La luce di Dio li aveva raggiunti ed aveva dato loro un'anima. Ora sapevano come provvedere a sé stessi, mentre dal profondo del loro cuore, per la prima volta, sorgeva un senso di gratitudine verso il Creatore e il bisogno d’innalzare a Lui la preghiera di ringraziamento.
Persino Dio si commosse per questa trasformazione delle sue creature e pianse di tenerezza. Le sue lacrime caddero copiose sulle falde delle montagne e formarono un piccolo lago in fondo alla valle, a cui fu dato il nome di Titicaca. Le sue acque erano d’un bellissimo colore: un profondo blu turchese.
Gli anni passarono e gli uomini si moltiplicarono sulla faccia della terra. Con il passare del tempo, distratti da mille interessi, dimenticarono gradualmente la tenerezza di Dio. Le notti erano ancora animate da danze e canti, ma non si sentivano più gli inni di lode e le preghiere, bensì musiche e danze frenetiche che non aiutavano certo l’anima ad elevarsi verso il Dio Creatore.
Solo gli sciamani, qua e là, cercavano di richiamare l'attenzione degli uomini ad una vita più ordinata. Passavano per città e villaggi proclamando: "Fratelli, il vostro modo di vivere offende gli dei. Convertitevi, se non volete essere distrutti dal fuoco e dall'acqua".
Ma nessuno prestava loro attenzione. Al contrario, spesso venivano derisi ed allontanati a colpi di frusta e bastone. Solo alcuni, profondamente colpiti dal messaggio degli sciamani, decisero di cambiare vita e si ritirarono sulla montagna la cui cima s’ergeva nel mezzo del lago Titicaca. Una decisione questa molto criticata da quanti erano rimasti nelle città e nei villaggi. "Che stupidi sono - si dicevano – Non é risaputo che se un fulmine scende dal cielo, è lassù che ci saranno le prime vittime".
Un giorno, verso il tramonto, l'ombra di una piccola nuvola rossa oscurò il sole. All'inizio nessuno si preoccupò, ma a poco a poco l'intero cielo fu invaso da una coltre di minacciose nuvole rosse. Il sole era sceso da tempo sotto la linea dell'orizzonte, ma una luce sinistra continuava ad illuminare le case e i campi. Il terrore si stendeva sui volti della gente: gli dei stavano per vendicarsi della mancanza di cura dimostrata dagli uomini.
All'improvviso la terra tremò paurosamente. Molte case crollarono. L'eco delle grida non si era ancora spenta quando una seconda interminabile scossa fece crollare anche i muri più resistenti. Violenti acquazzoni si scatenarono mescolati a una pioggia di fuoco. S’abbatterono sulla terra, distruggendo ogni cosa.
Il giorno dopo, un'alba vivida illuminò la distruzione e le rovine. Il piccolo lago Titicaca s’era gonfiato a dismisura: nella valle, la sua lunghezza raggiungeva ormai i cento chilometri, e al centro emergeva un'isola. Quando i primi raggi del sole raggiunsero il punto più alto dell'isola, coloro che vi avevano trovato rifugio uscirono a cielo scoperto. Con sgomento osservarono dall'alto ciò che il terremoto, le piogge di fuoco ed il diluvio avevano compiuto: sulle rive del lago e nella vasta pianura non si vedeva più alcun segno di vita.
Sull'isola, i sopravvissuti al disastro si congratularono l'un l'altro per essere sopravvissuti. Sentirono il bisogno di ringraziare il Creatore che li aveva risparmiati dalla furia della sua ira. Si radunarono in una radura ed innalzarono al dio Viracocha ed agli altri dei una preghiera di ringraziamento ed inni di lode. Tutti furono d’accordo di chiamare il loro rifugio L'Isola del Sole.
Si trattava ora di scegliere il luogo più adatto per ricostruire le abitazioni e ricominciare a coltivare i campi. Ancora una volta la misericordia del dio Viracocha venne loro incontro. Mentre erano riuniti in preghiera sotto un grande albero, apparve un bastone d'oro, circondato da un bagliore radioso. Dall'alto, una voce annunciò: "Ricevete dal dio Viracocha questo bastone; cercate di conficcarlo nel terreno. Là dove il bastone penetrerà, fermatevi, è la terra fertile che il vostro Dio vi ha destinato".
Il piccolo gruppo di uomini e donne si mise in cammino. La giornata era limpida, l'aria d’una purezza incredibile. Là in basso, l'acqua del lago rifletteva il colore del cielo d’un blu intenso. Di tanto in tanto i pellegrini si fermavano e lo sciamano più anziano prendeva il bastone d'oro e cercava di piantandolo sul suolo; ma la terra sembrava riluttante ad aprirsi al bastone.
Finalmente, il gruppo giunse a una vasta valle e lì si fermò per riposare. Quando lo sciamano lo piantò nel terreno, s’accorse che il bastone penetrava dolcemente nella terra. Un grido spontaneo di gioia si levò dai presenti: il dio Viracocha aveva risposto alle loro preghiere.
Fu là che sorsero le prime case. Presto nella pianura e lungo le rive del lago apparvero anche campi coltivati e fertili; spuntarono i primi germogli di mais e fagioli, mentre le piante da frutto diventavano sempre più robuste ad ogni passo del tempo.
Nella valle sorgeva una città: Cuzco, l'ombelico del mondo Inca. Si costruirono canali d’irrigazione e fabbriche di mattoni e calzature; gli uomini addomesticarono i lama, mentre le donne erano sempre più abili nell'arte della tessitura. Artisti improvvisati modellavano vasi e ciotole eli dipingevano di vivaci colori.
Ricordando gli errori del passato, la gente viveva nel timore d’offendere gli dei. A loro si offrivano le primizie dei campi ed ogni sorta di sacrificio; i bambini venivano educati a venerare il sole, la luna e le divinità della tempesta e dei raccolti. Un calendario che abbracciava le quattro stagioni, fissava commemorazioni e feste. I "Discendenti del Sole", il "Popolo della Valle Calda", esprimevano così la loro gratitudine al Creatore, il dio Viracocha. (Una leggenda del popolo Inca, Perù - foto: Isola del Sole, Lago Titicaca)
Si veda, Oral Literature. Inca. The Island of the Sun – Comboni Missionaries
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