Il modo più appropriato per garantire la stabilità di governo è stato, fino ad ora, la democrazia controllata o democrazia a bassa intensità. Un sistema che raggiunge la stabilità attraverso la disinformazione promossa dai media monopolizzati, che si sta dimostrando più efficiente della dittatura.
Alcuni scienziati hanno condotto uno studio su gruppi di pesci, i cui risultati possono essere estrapolati e applicati alle società umane. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Science nel 2011, con il titolo “Gli individui disinformati promuovono il consenso democratico nei gruppi animali” (Uninformed Individuals Promote Democratic Consensus in Animal Groups).
La ricerca conclude che, per poter contrastare l’influenza di una minoranza ostinata, la presenza di individui disinformati inibisce spontaneamente questo processo, restituendo il controllo alla maggioranza numerica.
Il lavoro insiste sull’importanza di quelle che definisce le persone disinformate nel processo decisionale, il cui risultato sarebbe democratico per il semplice fatto che quelle persone sono la maggioranza.
Su questo punto, gli scienziati sembrano influenzati dal concetto di democrazia delle classi dominanti, che lo riducono al ruolo della maggioranza nell’elezione dei loro rappresentanti. Il problema, nelle nostre società, è che queste maggioranze sono create dalla manipolazione dell’informazione, un compito che spetta ai grandi media monopolizzati da piccoli gruppi altamente concentrati di uomini d’affari.
Sebbene il lavoro sia assai più vasto di quanto si legge nei paragrafi citati, che lo sintetizzano, va rilevata l’importanza della disinformazione o, se si preferisce, della confusione che sono in grado di creare per distorcere le percezioni della popolazione, spesso spinta a sostenere opzioni che vanno contro i suoi interessi. Ma anche per paralizzare con un vero e proprio bombardamento la sua capacità di reagire, compito che ricade in particolare sui media audiovisivi, soprattutto la televisione, il segmento della comunicazione più concentrato e impermeabile al dissenso.
Gli esempi abbondano: dalla disinformazione sulle cause della pandemia di covid-19, con l’eccesso d’informazioni sul pipistrello in un mercato cinese come causa, nascondendo il ruolo comprovato della deforestazione dovuta all’agricoltura industriale, fino alla disinformazione sulle cause della guerra in Ucraina. La contrarietà all’invasione russa non dovrebbe andare di pari passo con la negazione dell’esistenza di un colpo di stato a Kiev nel 2014, né con la chiusura di 217 testate giornalistiche in Ucraina durante il primo anno di guerra, mentre 12.000 giornalisti locali e stranieri erano stati accreditati per coprirla, come riferisce la ONG Reporter senza Frontiere (Ocho periodistas muertos y 217 medios ucranianos cerrados en un año de guerra).
I media occidentali non riportano notizie né sul nazismo in Ucraina, né sulla guerra dell’Arabia Saudita contro lo Yemen, con il suo corollario di morti, carestie e disastro umanitario. La presenza delle forze armate statunitensi in Siria non è considerata un’invasione, e lo stesso avviene in molti altri casi.
Per non parlare del sabotaggio statunitense del gasdotto Nord Stream: Seymour Hersh, che ha elaborato un rapporto dettagliato su come è stato distrutto, è stato messo a tacere e diffamato, come ha appena affermato Noam Chomsky (Hersh será silenciado y vilipendiado).
Ciò che è certo è che la disinformazione gioca un ruolo importante nel sostenere l’ordine sistemico occidentale, un settore del mondo che controlla i principali media che raggiungono la popolazione. Come sottolinea un recente articolo di El Salto, i migliori contenuti giornalistici possono non avere alcuna conseguenza, perché il potere ed i media al suo servizio li ignorano (El misterioso ocaso de la opinión pública).
È chiaro che la democrazia non esiste nei media. Un controllo quasi assoluto ha conseguito qualcosa che decenni fa sembrava impossibile: sradicare il conflitto dalla percezione del pubblico. I crimini più brutali possono passare inosservati se i media si impegnano in questo.
Quando il controllo mediatico si spinge troppo oltre, perché la realtà è troppo evidente, come in Perù negli ultimi 70 giorni, ecco la polizia, il colpo di Stato permanente, a reprimere le proteste.
A mio modo di vedere, questa realtà ha due conseguenze principali.
La prima è che non ha molto senso lottare per conquistare l’opinione pubblica, né competere con i mezzi del sistema, cosa che i popoli che lottano non riusciranno mai a fare. Si tratta di creare strumenti propri, senza dubbio, ma non per competere con l’opinione della maggioranza, bensì per consolidare il nostro ambito, quello dei popoli in movimento e di tutti coloro che li accompagnano. Non è una questione di minore importanza.
La seconda è la convinzione che oggi non esiste una cosa chiamata “democrazia”, se mai è esistita. Dal momento in cui le opinioni e le volontà delle persone sono plasmate e manipolate da macchine gigantesche che sfuggono a qualsiasi controllo che non sia quello delle classi dominanti, entrare nel gioco elettorale non ha futuro.
Costruire in basso e a sinistra sembra l’unico cammino di emancipazione che è possibile percorrere.
Vedere, Democracia y manipulación de la opinión pública –
Traduzione italiana di Camminardomandando.
Foto. Tratta da Kaos en la Red che segnala 10 strategie efficaci per manipolare l’opinione pubblica
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