Il Ministro italiano dell’agricoltura, con riferimento alla crisi demografica che interessa il suo Paese, ha affermato, scatenando polemiche: “Non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica: gli italiani fanno meno figli, quindi li sostituiamo con qualcun altro”. L’idea di “sostituzione etnica”, non è nuova, è un’espressione infelice che attraversa un certo immaginario e rivela l’ignoranza della storia. Tuttavia… le ondate migratorie attuali sono al 90% di islamici. Che cosa può succedere se una percentuale di abitanti di un certo Paese, essendo di religione islamica, rivendica il diritto di essere giudicata e guidata dalla sharia?
Una volta superato il fastidio per le sue parole [del ministro italiano], dobbiamo ammettere però che esse evocano un problema reale: infatti, se continua il calo delle nascite che da anni ormai caratterizza l’Italia, e che quindi impone il conseguente ricorso all’emigrazione, gli italiani “nativi”, chiamiamoli così, rischiano effettivamente di scomparire o, in tempi non troppo lunghi, di diventare una minoranza nel loro stesso Paese. E va bene: niente di male, possiamo anche dire. Niente di male che non si parli più italiano, che a scuola non si insegni più chi era Dante o il Risorgimento. In fondo, nel corso della storia di ondate di migrazioni il nostro Paese ne ha viste tante, non è la prima volta. E i risultati di queste mescolanze sono stati anche buoni, se non ottimi.
Ma c’è un problema del quale si preferisce non parlare, c’è un argomento che si direbbe quasi vietato: tranne la parentesi araba in Sicilia, esauritasi ed assorbita nel corso di un paio di secoli prima dell’anno Mille, le invasioni del passato sono avvenute sempre da parte di popoli cristiani. Perfino i primi invasori – quelli che noi chiamiamo ancora i “barbari” – si convertirono prontamente.
Le ondate migratorie attuali, invece, sono al 90% costituite da islamici. Non ho niente contro una religione antica e degna di ogni rispetto come l’Islam, ma dobbiamo ammettere che essa si differenzia profondamente dal cristianesimo per molti aspetti che riguardano la sua manifestazione, il suo modo d’essere nell’ambito della vita sociale. A cominciare (o al finire…) con la secolarizzazione, che praticamente l’Islam non conosce e che invece è diventata un esito quasi obbligato nei Paesi di tradizione cristiana.
Mi sembra davvero difficile contestarlo: la nostra morale, la nostra cultura e quindi il nostro sistema giuridico sono invariabilmente nati da un ceppo cristiano, cioè da qualcosa dalle caratteristiche fin dalle origini molto diverse dalla sharia. La separazione fra Chiesa e Stato, fra precetti religiosi e leggi laiche, la parità fra donne e uomini, la famiglia monogamica che prevede parità di diritti, la libertà di pensiero, nascono tutti da questa comune appartenenza.
Ma che cosa può succedere domani se una percentuale notevole di abitanti del nostro Paese, essendo di religione islamica, rivendica il diritto di essere giudicata in base alla sharia? Non è una domanda retorica. La cosa sta già avvenendo in qualche Paese europeo molto aperto all’emigrazione, come la Gran Bretagna o la Svezia: dove a poco a poco vengono ammesse la poligamia, il matrimonio fra minori, e tollerate le brutali forme di oppressione spesso riservate alle donne nelle comunità islamiche.
Riflettendo sul nostro futuro dobbiamo considerare anche questa prospettiva, e di conseguenza cominciare a preparare una strategia di accoglienza che ne tenga conto. E magari – se fosse ancora possibile – cercare anche di aumentare le nascite, perché no? Non è una strategia reazionaria, non è un atteggiamento identitario di tipo fascista. Per parlar chiaro, dobbiamo renderci conto che non ha senso, ad esempio, da un lato sostenere tutti i diritti per gli LGBTQ+ e dall’altro assistere senza reagire alla prospettiva di una società futura in cui per influenza dell’islamismo l’omosessualità possa venire ostracizzata o peggio. Ma una forte minoranza musulmana non può forse significare proprio questo? [E se diventa maggioranza?]
Insomma, dobbiamo sforzarci di allungare lo sguardo un po’ di più sul lungo periodo, non limitarci a crogiolarci con i discorsi di accoglienza indiscriminata, facendo finta che sicuramente andrà tutto bene. Da questo punto di vista gli italiani e gli altri europei che stanno votando per i partiti di destra rivelano di essere più consapevoli e preoccupati da questi problemi delle loro élites intellettuali, le quali, invece, continuano a preferire chiudere gli occhi. Non sarebbe il caso che la sinistra capisse la lezione e magari si sforzasse di proporre soluzioni all’altezza della gravità del problema?
Vedere, Ma io vedo i tanti rischi della cattiva integrazione
Nota.
Pur non condividendo in tutto il contenuto dell’articolo vale la pena riportare anche una curiosità. Secondo il canale di informazione Euronews Mohamed è stato il quarto nome maschile più dato nel 2021 in tutte le sue varianti, come Muhammad, nei Paesi europei esaminati: Stati membri dell'Unione Europea, la Norvegia, la Svizzera e le nazioni inglese e gallese. Nel 2017, il nome non era nemmeno tra i primi dieci. Papa Giovanni Paolo II confidò un giorno una sua inquietante visione: “Vedo la Chiesa afflitta da una piaga più profonda, più dolorosa rispetto a quelle di questo millennio. Si chiama islamismo. Invaderanno l’Europa: dal Marocco alla Libia all’Egitto, e così via fino alla parte orientale. Invaderanno l’Europa, l’Europa sarà una cantina, vecchi cimeli, penombra, ragnatele. Ricordi di famiglia. Voi, Chiesa del terzo millennio, dovrete contenere l’invasione. Non con le armi, le armi non basteranno, con la vostra fede vissuta con integrità” (La visione di Giovanni Paolo II: «L'islam invaderà l'Europa»).
L’antropologa francese Florence Bergeaud-Blackler, autrice del libro Le Frérisme et ses Réseaux (La Fratellanza e le sue Reti), in un’intervista a Le Figaro, parla della strategia dei Fratelli Musulmani, il cui obiettivo finale non sarebbe “altro che l'avvento di una società islamica mondiale, di cui l'Europa potrebbe essere l'epicentro”. La tattica? Penetrare in maniera soft gli spazi della cultura e dell’economia. La conquista attraverso la guerra non è più possibile; la dissimulazione, in una società europea che venera la diversità e l'inclusività, sì. “Non rifiutano la violenza per principio - continua -, la rifiutano quando è controproducente per il loro scopo. Quando la violenza è perpetrata dai jihadisti, la condannano a parole”, ma si adoperano per bloccare ogni riflessione e azione politica di contrasto al radicalismo, ricorrendo allo spauracchio dell’islamofobia, e quindi del razzismo e della discriminazione. “Organismi di beneficenza come “Islamic Relief” hanno ricevuto decine di milioni di euro dalla Commissione europea. La rete dei giovani musulmani “Femyso” ha ricevuto dalla Commissione 288.000 euro. Nell'ambito dell'ENAR (Rete europea contro il razzismo), i Fratelli Musulmani impongono la loro definizione dell’islamofobia, le loro soluzioni e la loro agenda”. Si servono dell’accoglienza, della tolleranza e del dialogo per portare avanti il loro obiettivo: dare un’immagine sempre e solo positiva, edulcorata e perfetta della religione e cultura islamiche. Chi si azzarda a sollevare critiche e perplessità di fronte alla costruzione di una moschea o all’apertura di un centro culturale islamico?
Foto. Pakistan. Jihad in classe
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