Il cambiamento demografico è un po’ come la crisi climatica: nel momento in cui ti poni la questione, è già troppo tardi, nel senso che puoi correggere la traiettoria sul futuro, ma le scelte hanno conseguenze di così lungo periodo che intanto devi convivere con quelle già fatte nei decenni passati.
Gran parte della discussione su questo argomento è filtrata dall’ideologia di appartenenza di chi commenta i dati: quasi tutti riconoscono il problema, ma per la destra la risposta sta nella riscoperta della famiglia tradizionale e dei suoi valori, per la sinistra negli asili nido pubblici e nella parità salariale tra donne e uomini, per molti imprenditori serve una politica di immigrazione che consenta di sopperire alla manodopera, soprattutto qualificata, che mancherà.
Dopo il picco
I dati indicano alcune certezze, ma non danno tutte le risposte. Secondo il Centro sulla Popolazione e le migrazioni della Commissione europea, la popolazione globale toccherà il picco in questo secolo, 9,8 miliardi entro il 2070.
Picco significa che dopo inizierà a scendere. Dai tempi dei trattati di Thomas Robert Malthus, a fine Settecento, ci siamo abituati a pensare come gestire un aumento costante della popolazione, con il potenziale di crescita e consumo che questo comporta. Ma non ci siamo mai davvero interrogati sulla possibilità che lo scenario più drammatico fosse quello non solo dell’invecchiamento delle nostre società, ma di una drastica e rapidissima diminuzione del numero di esseri umani.
Il tasso totale di fertilità delle donne è sceso sotto 2,1 in quasi tutti i Paesi, quindi è sotto quello che è in genere considerato il tasso di sostituzione. Se ogni donna ha 2,1 figli, la popolazione rimane stabile. Se ne ha meno si riduce. «Il calo del tasso di fertilità è una delle tendenze più significative della nostra epoca», ha scritto in un allarmato commento su Bloomberg lo storico Niall Ferguson.
L’ultima volta che la popolazione mondiale si è ridotta è stato nel 1300, per effetto della «peste nera». Adesso non è una epidemia a ridurre il numero di figli, ma l’effetto è lo stesso. Andiamo incontro, ha scritto l’economista Nicholas Eberstadt su Foreign Affairs, «all’età dello spopolamento».
In Corea del Sud, caso estremo, il tasso di fertilità è di 0,72 figli per donna. A spanne vuol dire che, senza considerare gli effetti dell’immigrazione, a ogni generazione, quindi circa ogni 25 anni, la popolazione si riduce di quasi un terzo. E ogni anno quel tasso di fertilità continua a ridursi, da 0,78 nel 2022 a 0,7 nel 2024.
Un po’ tutti i Paesi, ricchi o poveri, laici o molto religiosi, vedono i tassi di fertilità ridursi. L’India nel 2024 ha superato la Cina come Paese più popoloso al mondo, ma ha già tassi di fertilità sotto il 2 per cento, quindi ha già superato il picco di espansione e la sua popolazione inizia a contrarsi.
I Paesi musulmani sono stati più fertili, ma anche lì – dove le donne hanno spesso meno diritti e meno prospettive che in quelli occidentali – i tassi di fertilità sono in calo, in Iran sono sotto il 2 per cento da inizio secolo. Soltanto l’Africa subsahariana continua a espandersi, ma è questione di tempo.
L’Italia è uno dei Paesi con il più basso tasso di fertilità del mondo occidentale, 1,21 figli per donna, e dunque è uno dei più vecchi, perché con pochi bambini e anziani che vivono più a lungo, l’età media risulta più alta.
Pochi figli?
Eleonora Voltolina, giornalista, si è occupata a lungo di lavoro e in particolare del trattamento degli stagisti, da alcuni anni lavora invece sui temi della fertilità con l’iniziativa The Why Wait Agenda. Sul supplemento «La Lettura» del Corriere della Sera è intervenuta in un dibattito che riguarda la fertilità della Sardegna. Cosa c’è di così particolare in quella regione?
La Sardegna è una regione particolare dal punto di vista demografico, in Italia e in realtà in tutta Europa, perché è una regione dove si fanno pochissimi figli, già il tasso di fecondità, cioè il numero di figli per donna, in Italia è molto basso e progressivamente è sempre più basso anno dopo anno. Nel 2023 la media nazionale è stata di 1,2 figli per donna, un minimo storico, ma da molti anni ormai sta sotto l’1 in Sardegna e nel 2023 in Sardegna il tasso di fecondità era di 0,91 figli per donna, quindi davvero molto pochi.
Però la domanda corretta da farsi è: i sardi fanno così pochi figli perché desiderano così pochi figli? La risposta è no, in realtà i sardi fanno meno figli di quelli che vorrebbero fare per una serie di fattori che rendono difficile, forse più difficile in Sardegna rispetto anche ad altri posti d’Italia, realizzare i propri progetti familiari. Ma si fanno davvero troppi pochi figli? O la società che abbiamo costruito è pensata per un numero inferiore di bambini?
Negli ultimi decenni è cambiato molto il concetto di famiglia e soprattutto le dinamiche di costruzione delle famiglie. L’emancipazione femminile ha fatto sì che le donne oggi possano studiare, lavorare, essere economicamente indipendenti e avere voce in capitolo sulle proprie scelte riproduttive. Attraverso la contraccezione possono scegliere quando e se avere figli.
Però io non direi che la nostra società non sia più a misura di bambino o scoraggi il desiderio di fare figli, perché in realtà tante persone questo desiderio ce l’hanno. Esiste infatti il fertility gap, cioè il divario tra i figli desiderati e i figli avuti. In tutto il mondo occidentale vorremmo più figli di quelli che facciamo. Quando si ragiona di demografia bisognerebbe sempre mettere al centro della discussione la scelta degli individui di fare figli e la necessità che lo Stato sostenga questo tipo di scelta.
In cerca delle cause
Non è facile stabilire quali siano le politiche da adottare perché non c’è accordo sulle cause di questo calo di fertilità. Le molte ricerche in questo campo non arrivano a risultati univoci, soprattutto sui rapporti causa-effetto.
Di sicuro la famiglia allargata nella quale ci sono pochi anziani e molti bambini non è più la norma, e per una coppia di genitori con poco supporto è difficile crescere più di uno o due bambini. I matrimoni sono in calo un po’ dappertutto e sembra che famiglie meno vincolate siano anche meno fertili. Poi sono crollate le gravidanze indesiderate, e questo era esattamente lo scopo della diffusione di metodi contraccettivi o della legalizzazione dell’aborto, cioè permettere alle donne di avere figli soltanto quando li vogliono.
Inoltre, soprattutto in Paesi come gli Stati Uniti, i genitori investono moltissimo sui figli. Quando i bambini fornivano manodopera non retribuita da usare nei campi o nelle terribili fabbriche della rivoluzione industriale inglese, averne tanti era un buon investimento anche per le famiglie più povere.
Ma se invece sui figli si investe per un periodo di formazione lunghissimo, fino all’università o magari al dottorato, è normale che pochi possano permettersi di fare un simile investimento su più di uno o due bambini.
Poi c’è il fatto che l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro e l’apertura di nuove opportunità ha consentito di trovare altre opzioni possibili di realizzazione oltre alla maternità. Sposarsi e fare figli non è più un percorso obbligato: studio e carriera per le donne hanno anche dilatato nel tempo le scelte riproduttive, con inevitabili effetti sulla fertilità, che declina col passare degli anni.
Ma tutto questo è stato fortemente voluto dalle donne stesse. Infatti uno famoso studio del 1994 dell’economista Lant Pritchett ha riscontrato che la variabile con il maggiore potere predittivo sul numero di figli che una donna avrebbe avuto nella vita era il numero di figli che voleva avere.
Insomma, forse le donne fanno meno figli perché – semplicemente – vogliono farne meno e non essere schiacciate sul ruolo di madri per tutta la fase centrale della loro vita. Attenzione, questo vale in aggregato, anche se ciascuno di noi conosce qualche donna a cui questo ragionamento non si applica. Ma le statistiche rivelano una sorta di volontà collettiva, della quale i singoli individui possono essere persino inconsapevoli.
A seconda di quale causa si identifica come preminente, e di quale schema valoriale si applichi alla questione, le risposte in termini di politiche pubbliche possono essere molto diverse.
Alessandra Minello è una ricercatrice in Demografia all’Università di Padova, con Tommaso Nannicini ha pubblicato per Feltrinelli Genitori alla pari. Cosa abbiamo imparato dagli studi sulle politiche di sostegno alla natalità in giro per l’Europa? Cosa funziona e cosa no?
Per quanto siamo abituati a sentire parlare di politiche pronataliste, dobbiamo essere consapevoli che queste agiscono poco sulla fecondità. Possono avere effetti indiretti, ad esempio se aumenta la partecipazione femminile al mercato del lavoro, aumenterà anche se di poco la fecondità, ma effetti diretti è difficile vederne. Ad esempio, anche nel nostro Paese l’aumento dei fondi agli asili nido non ha un effetto diretto sull’aumento della fecondità.
In questo momento agire con una politica unica che vada a aumentare la fecondità non è più efficace. C’è bisogno di agire in maniera complessiva mettendo le famiglie nella condizione di maggior possibile benessere e vedere se poi questo eventualmente riduce il fertility gap, ovvero la distanza tra il numero di figli desiderato e il numero di figli realizzato. Ma dobbiamo anche tenere conto che c’è un numero crescente di persone che figli non ne desidera.
La bassa natalità è un imprevisto, un problema da correggere, o è l’effetto in qualche modo voluto e necessario del progressivo ingresso delle donne nel mercato del lavoro e del loro graduale, ancora incompiuto, percorso verso una parità in termini di carriera e compensi con gli uomini?
La bassa natalità è un dato di fatto. In parte è dovuta al restringersi delle coorti di potenziali genitori e genitrici, come conseguenza della bassa natalità delle generazioni precedenti. Poi c’è una fecondità che si sta abbassando, quindi un numero di figli per donna più basso, che vediamo in Italia ma anche in altri contesti in cui potenzialmente ci sono tutte le risorse dal punto di vista economico e culturale perché invece la fecondità venga realizzata.
Verso un nuovo equilibrio
Non ci sono soluzioni facili, neanche immaginando uno spettro di possibili politiche drastiche che vadano dal vietare l’aborto – come chiedono sempre più conservatori negli Stati Uniti – a lasciar entrare più immigrati. Se le persone fanno meno figli perché ne vogliono meno, è difficile convincerle a fare diversamente.
C’è quindi una comprensibile tentazione di abbandonarsi al pessimismo catastrofista: forse abbiamo costruito un modello di sviluppo e un’idea di progresso che porta all’estinzione? Il desiderio di aumentare i consumi combinato con l’idea di una parità tra uomini e donne e un approccio liberale che favorisce l’autodeterminazione produce società libere, aperte ma condannate all’estinzione?
Di sicuro dobbiamo attrezzarci per i decenni che ci aspettano, perché sarà molto complesso gestire società con anziani ultranovantenni bisognosi di costose cure e assistenza pagata dai redditi generati da pochissimi lavoratori attivi. Ma non dobbiamo fare lo stesso errore di Malthus e di immaginare che alcune variabili siano fisse e immutabili. Malthus non aveva considerato l’aumento della produttività dovuto alla tecnologia: la Terra oggi sfama oltre 8 miliardi di persone, 7 miliardi in più che al tempo di Malthus, grazie a un’agricoltura più efficiente.
Così anche il calo demografico non è inevitabile, perché le variabili del contesto possono cambiare. Con meno persone, e meno bambini, tra qualche anno i prezzi delle case crolleranno, città oggi inavvicinabili come Milano o Londra torneranno alla portata di giovani coppie, non sarà un problema trovare posto negli asili nido comunali, i salari saranno più alti per mancanza di lavoratori, i datori di lavoro non potranno permettersi di discriminare le neomamme, ci saranno nonni e bisnonni ancora attivi per molti anni pronti a fornire una qualche forma inedita di welfare familiare intergenerazionale.
La crisi climatica forse sembrerà meno inevitabile, visto che il numero degli inquinatori si ridurrà. E allora, forse, come nel finale ottimistico di certi film apocalittici hollywoodiani, torneranno a nascere più bambini di oggi.
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