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La società narcisistica

Ethic 29.08.2024 EsthEsther Peñas Tradotto da: Jpic-jp.org

Se Narciso fosse esistito oggi, invece di tuffarsi in acqua, si sarebbe sbattuto contro il vetro di uno schermo. Analizziamo perché il narcisismo è una delle caratteristiche dominanti della società dell'immagine.

Fin dall'antichità, un mito ci ha messo in guardia dalle conseguenze letali di un'eccessiva contemplazione di sé: Narciso e il suo amore mortale per se stesso. Forse Caravaggio è stato il pittore che meglio ha ritratto questo fascino seducente di chi rimane talmente estasiato dal proprio riflesso da annegare e trasformarsi in un fiore. Oggi è la migliore rappresentazione della nostra società, che ha sostituito la vita con le immagini.

Novantacinque milioni di fotografie vengono caricate ogni giorno su Instagram, secondo i dati forniti dalla rete stessa. Molte di esse, come su altre piattaforme, sono aneddoti privi della minima importanza: “Io che mangio in questo ristorante”, “Io con il mio migliore amico”, “Io con il mio cane”, “Io da solo”; l'io maiuscolo è diventato un'immagine frattale vuota. Se ogni singola cosa che facciamo è abbastanza importante da essere condivisa nel cyberspazio, nessuna lo è. Ma questa società ci costringe a essere imprenditori di noi stessi, a venderci, ad auto promuoverci, perché il narcisismo “è il dare sé stessi per essere visti e per essere guardati”, come afferma la psicanalista Constanza Mayer.

Questa immagine che proiettiamo adora le palestre, i sorrisi forzati, i trattamenti di bellezza, la schiavitù della moda, consuma esperienze con ansia bulimica (mostre, film, serie, viaggi, gastronomia...). Solo in Spagna, il business della bellezza muove 9.250 milioni di euro, ed esporta più del vino, delle calzature o dell'olio d'oliva. Il Paese è il secondo esportatore mondiale di profumi e il decimo di cosmetici. Il corpo come simbolo, come valore aggiunto sociale, come packaging e design pubblicitario.

Nel loro saggio L'epidemia del narcisismo, gli psicologi americani Jean Twenge e Keith Campbell paragonano l'origine del narcisismo a uno sgabello a quattro gambe. La prima, l'educazione permissiva in cui si impara a prendere il proprio posto senza preoccuparsi degli altri; la seconda, la cultura della celebrazione istantanea; la terza, Internet e i social network; e l'ultima, il consumismo e il denaro facile, che portano a credere che tutti i sogni possano diventare realtà.

Il tutto assume dimensioni talmente sproporzionate che non conta nient'altro che sé stessi. “La vera tragedia di Narciso non è che si è innamorato di se stesso, ma che non vede l'altro, l'altro diventa un oggetto che usa a suo piacimento, smette di vederlo come un pari, come un essere umano”, spiega lo psicologo Rodolfo Acosta. E questo ha conseguenze terribili.

“L'egoismo feroce disdegna l'amore e i legami sociali, rende impossibile stabilire legami con gli altri, perché se non manca nulla, non nel senso di bisogno ma nel senso di assenza di qualcosa, rimane poco spazio per i legami e l'amore per gli altri”, continua Mayer, che avverte del rischio: “L'esaltazione di un ‘io forte’ comporta il rischio della megalomania, come si vede nei leader politici, che vengono eletti per la loro audacia di esaltare l'aspro individualismo nelle coordinate della legge della giungla, e del totalitarismo come sistema, che esclude la differenza e la diversità tra le persone, promuovendo la segregazione”.

Se gli altri sono assenti, perché li abbiamo banditi dalla nostra intimità, non potremo chiederci come cambiare il mondo, preoccupati solo di raccontarci senza distanza critica. Ci ritireremo dalla vita pubblica, rivolgendoci a preoccupazioni puramente personali.

L'amore, l'antidoto

Il narcisismo come patologia è stato descritto da Freud. Una cosa è l'autostima, o un “sano narcisismo”, quella visione benevola di sé attraverso la quale si possono dispiegare i propri talenti e che si ottiene con l'attenzione e l'affetto degli altri, un'altra è il narcisismo, “un rapporto esagerato e patologicamente sovraccarico con se stessi”, secondo le parole del filosofo coreano Byung-Chul Han. Questo indebolisce l'idea di collettività. Il narcisismo si verifica quando viene meno la fiducia nel ‘tu’. Il soggetto sarà il suo unico custode e il suo capo assoluto. Non ha bisogno di nulla, nemmeno di qualcuno. “Questa fantasia di autosufficienza denota una grande fragilità e un'immensa mancanza. Non è nemmeno vero che non ha bisogno degli altri: ha soprattutto bisogno del loro riconoscimento e della loro ammirazione”, sottolinea Acosta.

I narcisisti si pensano esseri eccezionali, importanti, unici. Ma la verità è che sono tali solo per chi li ama. L'amore è andare incontro all'altro. Se si rimane ripiegati su se stessi, non c'è alcuna possibilità di relazione, né di vero affetto. Ci vuole tempo per costruire relazioni e questa società, in cui l'immediatezza e il profitto hanno la precedenza, ci toglie questo tempo.

Zygmunt Bauman ci ricorda che l'impegno è necessario per far durare una relazione, anche se chi si impegna senza riserve rischia di essere danneggiato se la relazione si rompe. Ma perlomeno sarà vissuta. La società di oggi non permette il lutto, la tregua, la parsimonia che ciò che è importante richiede. “Oggi si promuove l'esaltazione dell'io. Se l'individuo è sicuro di sé, si suppone che progredisca, che abbia successo. Questa posizione porta all'abbandono dell'interesse per il bene comune, per gli altri, per tutto ciò che non è se stessi, e questo si riflette nella sfera familiare, sociale e politica. Il narcisista genera la paranoia di sentirsi gestito da un altro che vorrebbe portargli via ciò che è suo, questo è il pericolo narcisistico”, spiega la psicanalista Carmen Bermúdez. Questa struttura paranoica, che diffida di default dell'altro, che ci tiene sempre in guardia e ci invita persino ad attaccare per primi, è sostenuta dal narcisismo.

Un mondo di specchi

Già negli anni '70, il sociologo americano Christopher Lasch avvertiva in La cultura del narcisismo che la nevrosi e l'isteria che caratterizzavano le società dell'inizio del XX secolo avevano lasciato il posto al culto dell'individuo e alla ricerca fanatica e insaziabile del successo personale. “Per la personalità narcisistica contano solo i diritti, i propri diritti, e questo può portare alla perversione di fare del male agli altri per il piacere di vederli sottomessi”, afferma Francesc Sáinz, psicoanalista e professore all'Università di Barcellona. Ecco perché l'intolleranza alla frustrazione è legata al narcisismo.

Se l'altro esiste solo come specchio che restituisce un'immagine grandiosa di noi, se diventa un valore logistico, c'è una mancanza di sensibilità ai bisogni e ai desideri degli altri, un'incapacità di amare e rispettare l'altro in quanto diverso. Il narcisismo porta al “minimalismo morale”, secondo le parole di Lasch.

Le società in cui i cittadini sono incoraggiati non a soddisfare i propri bisogni ma a consumare alterano la percezione dell'io, creando un mondo di specchi. Una cultura il cui asse è il consumismo genera narcisismo, “non perché ci rende ambiziosi e auto affermativi, ma perché ci rende deboli e dipendenti, perché mina la nostra fiducia nella nostra capacità di comprendere e modificare il mondo e di progettare i nostri bisogni e quelli comuni”, scrive Lasch. Questa società ci infantilizza e ci rende emotivamente incapaci di agire.

Una società di consumisti vede la scelta non come un atto di libertà, ma come la possibilità di scegliere tutto e subito. Ma la libertà va oltre la scelta della marca che indossiamo, anche se il narcisista non lo vede.

La trasformazione della politica in management, la sostituzione della manodopera specializzata con macchinari sofisticati, la ridefinizione dell'istruzione come insieme di competenze lavorative e, in breve, l'assimilazione assoluta di ogni attività alle richieste del mercato, afferma Lasch, hanno generato un nuovo e pericoloso modo di “essere se stessi”.

Vedi, La sociedad narcisista  

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I commenti dai nostri lettori (1)

Margaret Henderson 22.11.2024 The article on the narcissistic society made me laugh when I thought back to my childhood and teenage years. Because there were 8 of us (parents and 6 close-in-age children) and we all had to get ready for school/work at the same time, we were each allowed 2 minutes in the bathroom. That’s where the only mirror in the house was. Î seriously thought it was some sort of wall decoration, not a fixture for you to examine your own face! In retrospect, that didn’t do me much harm, though I still finished up rather shy.